il manifesto 21.6.18
Usa fuori dal Consiglio dei diritti umani, Netanyahu ringrazia
Usa/Onu
. Il premier israeliano applaude alla decisione dell'Amministrazione
Trump di abbandonare anche questo organismo dell'Onu. La sintonia tra
Usa e Israele è totale. Intanto nuova fiammata di guerra a Gaza
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
Grazie Trump «per il coraggioso passo contro l’ipocrisia e le bugie
del cosiddetto Consiglio dei diritti umani dell’Onu». Il governo
israeliano di Benyamin Netanyahu ringrazia il presidente americano per
la decisione di far uscire gli Usa dall’organismo delle Nazioni Unite
annunciata martedì notte dal Segretario di stato Mike Pompeo e
dall’ambasciatrice Usa al Pazzo di vetro Nikki Haley. Ne ha tante di
ragioni Israele per ringraziare l’Amministrazione Trump impegnata in
un’opera costante di demolizione delle Nazioni unite e del diritto
internazionale. Dopo gli attacchi alla funzione dell’Onu, il veto alla
nomina di un palestinese (l’ex premier dell’Anp Salam Fayyad) come
inviato speciale per la Libia, l’uscita dall’Unesco in appoggio alle
posizioni israeliane, il riconoscimento unilaterale di Gerusalemme come
capitale di Israele, il trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv
nella città santa e l’uscita degli Usa dall’accordo sul programma
nucleare iraniano, ora giunge questo nuovo “regalo”.
Per
qualcuno è altro schiaffo dell’Amministrazione Usa al sistema delle
relazioni internazionali, che siano organizzazioni o accordi non in
linea con le priorità americane. In questo caso, come in tutti quelli
elecati prima, sul tavolo non ci sono le priorità americane bensì
quelle israeliane, a conferma della completa sintonia tra Washington e
Tel Aviv. «Invece che occuparsi dei regimi che violano i diritti
umani quel Consiglio si è ossessivamente fissato con Israele, unica
vera democrazia del Medio oriente», afferma Washington. Sono le
parole che hanno usato i premier israeliani tutte le volte che il
Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu ha criticato o condannato lo Stato
ebraico. Le violazioni che commette Israele, viene ripetuto, sarebbero
inesistenti o comunque insignificanti rispetto a quelle che avvengono
in altri paesi della regione, quindi il Consiglio dovrebbe occuparsi
solo di quelle.
Colonizzazione di territori occupati
militarmente, arresti arbitrari, detenzioni senza processo, confisca di
terre, demolizioni di case, blocco di Gaza, uso della forza contro i
civili palestinesi in corso da 51 anni a questa parte sono cose da
nulla per Pompeo e Haley. Per loro il Consiglio dell’Onu è «la fogna
della faziosità politica». «Prendiamo questa decisione perché il
nostro impegno non ci permette di continuare a far parte di
un’organizzazione ipocrita e asservita ai propri interessi che ha fatto
dei diritti umani una barzelletta», ha proclamato Haley. La decisione
era nell’aria da tempo, non è una sorpresa. Washington era già uscita
dal Consiglio per tre anni durante l’amministrazione di George W. Bush
ma era tornata a farne parte con Barack Obama. Gelida (e inutile) la
reazione del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che si è
limitato a fare sapere che «avrebbe preferito che gli Stati Uniti
rimanessero nel Consiglio», sottolineando che «l’architettura delle
Nazioni Unite sui diritti umani svolge un ruolo molto importante nella
loro promozione e protezione in tutto il mondo».
Nel frattempo
la tensione resta alta lungo le linee tra Gaza e Israele. Netanyahu ha
avvertito che se i palestinesi invieranno ancora “palloni incendiari” da
Gaza verso il territorio israeliano «Il pugno di ferro dell’esercito
colpirà con potenza…Siamo pronti ad ogni scenario ed è meglio che i
nostri nemici lo capiscano e subito». L’avvertimento è giunto dopo una
nuova notte di lanci di razzi palestinesi e di attacchi aerei
israeliani (25 contro presunti obiettivi di Hamas) che spingono Gaza
verso un nuovo conflitto a quattro anni di distanza dall’offensiva
“Margine Protettivo”. I media israeliani, aiutati da quelli europei e
americani, preparano l’opinione pubblica internazionale ignorando il
blocco di Gaza che dura da 12 anni e parlando solo di “guerra degli
aquiloni” in riferimento ai lanci dei palestinesi che hanno provocato
incendi in alcuni campi coltivati oltre le linee di demarcazione. Pochi
ricordano che l’intera fascia agricola di Gaza a ridosso di Israele da
anni è quasi inaccessibile ai contadini palestinesi sui quali i
soldati non esitano ad aprire il fuoco quando si avvicinano “troppo”
alle barriere di separazione.