Il Fatto 21.6.18
A che ora doveva essere la rivoluzione?
Il Sessantotto - Fo e Parini rileggono la storia dei dieci anni che avrebbero dovuto cambiare il mondo
A che ora doveva essere la rivoluzione?
di Jacopo Fo e Sergio Parini
Esce
oggi in libreria per Chiarelettere “C’era una volta la rivoluzione. Il
Sessantotto e i dieci anni che sconvolsero il mondo” di Jacopo Fo e
Sergio Parini. Ne pubblichiamo l’introduzione.
Brutta storia gli
slogan. Con la scusa della rima (senza rima che slogan è?) ti
costringono a essere un po’ troppo estremista, o ottimista. “Fascisti!
borghesi! Ancora pochi mesi!”. Lo sapevamo che non era vero. Noi, saggi,
eravamo convinti che ci sarebbe voluto almeno qualche anno. Ma così la
rima non c’era. Comunque noi eravamo fermamente convinti che entro breve
tempo ce l’avremmo fatta. La rivoluzione stava vincendo in tutto il
mondo. Il Sessantotto era stato un’esplosione planetaria di rivolta
contro la violenza, la povertà, lo sfruttamento e il colonialismo:
America, Germania, Francia, Messico. Dalla Cina arrivava il messaggio
che “ribellarsi è giusto”. Il Vietnam e Cuba dimostravano che il popolo,
se è unito e combattivo, può fare il culo a chiunque, compresa la prima
superpotenza planetaria. In Cile, per la prima volta in un paese
sudamericano, le sinistre erano al potere. L’Africa era in rivolta. In
Spagna e in Grecia si lottava duramente contro il fascismo. Ci sentivamo
parte di un Movimento mondiale, in marcia inarrestabile. Vivevamo ogni
corteo come un tutt’uno con l’offensiva dei vietcong.
L’universo
era diviso in due. Di qua i buoni: noi. Di là i cattivi: loro, cioè i
reazionari, che fossero insegnanti o “padroni”, fascisti o
democristiani. O anche revisionisti. Come i russi, che avevano tradito
il comunismo e ci avevano disgustato invadendo la Cecoslovacchia. O
quelli del Pci, che sembravano più impegnati a darci addosso che a
lottare con noi. Ci avevano provato, i revisionisti, a fare le riforme.
Niente da fare, tutto era stato inghiottito dalla grande palude
democristiana.
Prendiamo la scuola. Noi chiedevamo cambiamenti
radicali. Eliminare il nozionismo e la selezione classista che
permetteva di andare avanti negli studi solo chi aveva i mezzi culturali
ed economici per farlo. Gli altri, fuori. Ben pochi non borghesi
arrivavano all’università.
E il “potere” come aveva reagito alle
nostre richieste (espresse all’inizio in modo molto educato)? In un solo
modo: chiusura totale e repressione dura. Prima sospensioni e
bocciature, poi espulsioni dalle scuole, polizia, manganellate, arresti,
morti, fino alle stragi per fermare il Movimento studentesco e operaio.
Se questa è la reazione, rivoluzione! Volete la guerra?
E guerra sia!
Oggi
lo sanno anche i paracarri che negli anni Settanta in Italia non
c’erano le condizioni per fare una rivoluzione marxista. All’epoca noi
non lo sapevamo. Potevamo fare qualcosa di diverso che tentare la
rivoluzione, all’occorrenza, anche violenta? Certo. Gandhi in India c’è
riuscito. I colonialisti inglesi sparavano e lui rispondeva con la non
violenza. Un mito, ma in Occidente non ha mai attecchito gran che.
Eravamo
cresciuti guardando i film western. Non c’era niente di più giusto che
sparare ai cattivi. I nostri eroi erano Che Guevara e Mao. E poi non è
che nasce un Gandhi ogni cinque minuti. In Italia non è mai nato.
E se è nato, non se n’è accorto nessuno.