il manifesto 21.2.18
Migranti, due vertici contrapposti dividono l’Europa
Lo
squalo 2. A Bruxelles e a Budapest. Intanto un documento parla di
controlli alle stazioni degli autobus, dei treni e negli aeroporti
di Carlo Lania
Il
governo gialloverde italiano può essere soddisfatto. Molto
probabilmente dal vertice dei capi di Stato e di governo del 28 giugno
non uscirà una sola proposta utile all’Italia per la gestione dei
migranti, ma in compenso le esternazioni urlate quotidianamente dal
ministro degli Interni Salvini hanno contribuito a spaccare l’Unione
europea come mai si era visto in precedenza.
Il segno tangibile
della crepa sempre più larga che sta dividendo i 28 sono i due
prevertici convocati per domani e domenica da gruppi contrapposti di
Paesi, ognuno dei quali è impegnato a elaborare proposte che, almeno
sulla carta, dovrebbero rappresentare le nuove politiche europee
sull’immigrazione. Al primo summit, fissato per domenica a Bruxelles dal
presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker e al quale è
prevista la partecipazione di dieci Paesi, si è aggiunto ieri quello
deciso da Ungheria, Polonia, Cechia e Slovacchia, il gruppo di Visegrad
che, con l’Austria, si vedrà oggi a Budapest. Il fronte anti-migranti
propone una «rivoluzione copernicana» (copyright del premier austriaco
Sebastian Kurz) nella gestione dei migranti. Intanto però, in serata
sono uscite nuove anticipazioni di quello che potrebbe essere il
documento finale del vertice ufficiale, quello di fine mese, e che oltre
alla trasformazione di Frontex in una vera e propria polizia di
frontiera, annunciano controlli sui migranti alle stazioni di autobus,
treni e aeroporti di tutta Europa allo scopo di individuare e rispedire
indietro i profughi che hanno abbandonato il Paese in cui hanno
presentato la richiesta di asilo.
Un modo per contrastare i
cosiddetti movimenti secondari sui quali in Germania la cancelliera
Merkel e il suo ministro degli interni Seehofer litigano fino a
rischiare la caduta del governo, e che Bruxelles propone adesso di
fermare penalizzando i Paesi di primo arrivo – tra i quali ovviamente
l’Italia. E così il premier Giuseppe Conte, che ieri mattina ricevendo
il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk a palazzo Chigi gli
aveva detto di non voler neanche sentir parlare dei «secondary
movements», in serata se li è visti ripiombare pari pari sulla
scrivania.
La verità è che non bastano gli attacchi e le minacce
di Salvini per aumentare l’autorevolezza dell’Italia in Europa. Anzi,
proprio la vicenda dei movimenti secondari dimostra che se i leader
europei devono sostenere un governo, la scelta cade su Berlino e non su
Roma. Accantonata definitivamente ogni speranza di riformare Dublino,
domenica a Bruxelles si discuterà quindi ancora della possibilità di
esternalizzare le frontiere dell’Ue. Presenti, oltre all’Italia, anche
Belgio, Germania, Olanda, Francia, Spagna, Malta, Grecia e Bulgaria,
quest’ultima presidente uscente dell’Ue. L’idea, non nuova, è di creare
in Nordafrica campi nei quali raccogliere i migranti dividendoli tra
profughi ed economici, per poi raccogliere le richieste di asilo dei
primi e rimpatriare i secondi. Un lavoro che dovrebbe svolgersi con il
contributo dell’Unhcr e dell’Oim, e accompagnato da programmi per i
rimpatri dei migrati irregolari, supporti finanziari e altri incentivi.
Ma la cui realizzazione può richiedere tempi anche molto lunghi. Prima
occorre infatti individuare i Paesi disponibili a essere trasformati in
«piattaforme per gli sbarchi» (la Tunisia, indicata come uno di quelli
possibili, ieri ha confermato di non essere disponibile) e poi stipulare
gli accordi necessari a far sì che il piano non resti solo sulla carta.
Nel
frattempo non è che dall’altra parte, quella dei puri e duri di
Visegrad più l’Austria, si brilli per fantasia. Salvo sorprese
l’annunciata «rivoluzione copernicana» consisterebbe sempre
nell’apertura fuori dall’Ue di campi dove raccogliere i migranti ma
questa volta nei Balcani, magari facendo leva sulla voglia di questi
Paesi di entrare a far parte dell’Unione. Potrebbe consistere in questo
la riforma di Dublino annunciata da Salvini per «proteggere le frontiere
esterne, senza dividere il problema tra i Paesi europei ma risolvendolo
a monte». Anche in questo caso, però, sembra che i conti siano stati
fatti senza l’oste. La Macedonia ha infatti già detto di non volere
campi profughi nel proprio territorio.