il manifesto 19.6.18
I populisti ormai al potere e le loro disinibite pratiche
di Michele Prospero
La
vicenda romana restituisce il grado della effettiva capacità innovativa
dei movimenti dell’antipolitica. Quando sono veicoli di protesta, essi
si fanno strada con parole d’ordine di radicale estraneità alla casta,
da affidare a tribunali del popolo. Agitano anche una intransigente
ricusazione del principio del negoziato politico, respinto in quanto
tale. Una volta al potere, i non-partiti rivelano però la loro natura
reale di organi dell’opaco compromesso permanente.
Il populismo
divenuto regime si lascia sorprendere in disinibite pratiche di
gestione. Si svelano così le illusioni del marketing del risentimento
congegnato dal populismo-movimento per affermarsi tra i ceti popolari.
Le
chiacchiere della democrazia diretta e il motto della onestà-onestà si
svuotano. Dopo i partiti, è peggiorata la condizione di salute della
democrazia. Una volta c’era almeno una parvenza di autonomia dei partiti
dalle dinamiche aziendali. Esisteva un gioco di condizionamento
reciproco, tra il mondo delle imprese e le macchine di partito. Non
esisteva un controllo totale esercitato da uno dei protagonisti,
l’impresa. Ora i non-partiti non sono altro che un investimento in campo
politico studiato da grandi o piccole imprese che grazie al marketing
elettorale conquistano l’amministrazione per reperire opportunità,
risorse. La politica è diventata cioè oggetto di mercato, come i
macchinari, le forniture, la forza-lavoro, il capitale.
La piccola
azienda per stare nel mercato ha per due volte raccolto la microfisica
della rabbia diffusa trasformandola nel primo soggetto politico
nazionale. Come già accaduto con la macro-impresa berlusconiana, anche
il M5S ha solo nella proprietà (la leadership è stata conferita per
successione ereditaria!) il supremo grado direttivo. Emerge nelle città
la contaminazione di impresa, amministrazioni controllate, manager
ombra, governo locale sprovvisto di autonomia nella adozione delle
politiche pubbliche e urbanistiche. Trattative private accompagnano
spartizioni, tentativi di traffici di influenza, con affacci di
convivialità persino nell’impulso a pratiche coalizionali che hanno
condotto alla stipula del contratto di governo.
Esiste una zona
invisibile di comando, selezione che fa impallidire la retorica del
ritrovamento dell’agorà su una base elettronica. La trasparenza della
rete è una finzione che copre trame di interessi e giochi strategici per
l’accaparramento di influenza, risorse, potenza. La politica, per
alcune imprese, è diventata la concorrenza economica condotta con altri
mezzi. Le istituzioni sono, in questa ottica, dei semplici strumenti di
accumulazione del capitale e la competizione per il voto consente ai
partiti-proprietà di afferrare quote della ricchezza-potenza
disponibile.
In una democrazia che si sta sempre più spegnendo,
affiora la metamorfosi rapida del populismo. Nella fase di movimento,
contrapponeva il basso contro l’alto. E ora, nella sua stagione di
governo, si impegna in una guerra infinita contro il più basso per
eccellenza, cioè il migrante. La “pacchia” contro cui il
populismo-regime riesce a scagliare tutti i risentimenti è proprio
quella goduta dai migranti, presentati come l’unico ostacolo al
benessere, alla sicurezza, alla felicità pubblica. È chiaro che il
populismo-regime è solo lo strumento dei veri piani alti della società
(con gli eterni ritorni in scena di Savona o Bisignani) per continuare
ad esercitare il potere dirigendo l’odio degli esclusi contro la bella
vita del migrante.
La coalizione gialloverde trova una leale
collaborazione proprio nella guerra santa dei sovranisti per la chiusura
dei porti ai corpi dalla pelle nera. Se i migranti o i rom sono i
privilegiati che vivono nella “pacchia”, i poteri reali dominano
indisturbati. Riescono ad ottenere il controllo delle amministrazioni
centrali e periferiche. Possono persino godere di una espropriazione
legale della ricchezza sociale, attuata con la seducente flat tax. La
mistificazione cognitiva in Italia ha vinto, e il populismo è lo
strumento di classe per la conservazione-restaurazione. Lo scivolamento
visibile nelle culture e nelle pratiche politiche potrebbe approdare in
una qualche variante postmoderna di personalizzazione neoautoritaria del
potere.
In questa deriva, presidenti di associazioni per la
costituzione, dopo aver scelto il non-partito azienda M5S, adesso
invitano all’astensione nelle elezioni di Siena e Pisa. Assurdo. Sarebbe
invece molto importante che la piccola onda di resistenza avviata già
alla Garbatella si estenda anche nelle città toscane. Vincere nelle
vecchie zone rosse servirebbe come un incentivo per riorganizzare le
forze contro la minacciosa marea nera oggi trionfante.