il manifesto 19.6.18
Brunello Mantelli: «Nelle parole di Salvini sui Rom riemerge il rimosso della storia nazionale»
Intervista. Parla lo storico del fascismo e della deportazione verso i campi nazisti
intervista di Guido Caldiron
Studioso
dei fascismi europei e della deportazione verso i campi di sterminio
nazisti, Brunello Mantelli insegna Storia dei conflitti internazionali
all’Università della Calabria.
Professor Mantelli, partiamo dalle parole di Salvini sui rom: a chi studia da trent’anni fascismo e razzismo, che effetto fanno?
La
prima reazione è quella di dire: «sta tornado il fascismo». In realtà, a
ben guardare, il fascismo fu però una sorta di imbuto per il quale
passarono culture antidemocratiche ed autoritarie che negli anni Venti e
Trenta, in Italia come in Germania, si trasformeranno in regimi. E oggi
è alla comparsa, e in parte alla ricomparsa di simili culture che si
sta assistendo nel nostro paese. Pensiamo al cosiddetto «sovranismo», in
realtà si tratta di vero e proprio nazionalismo e sappiamo bene a cosa
condusse tutto ciò. Allo stesso modo, la sola idea di schedare gli
esseri umani in base alla loro «etnia», parola che si immagina più
presentabile del termine «razza», rimanda esplicitamente al più
terribile passato europeo e del nostro paese. Ciò a cui si sta
assistendo oggi rappresenta perciò una sorta di riemersione di quel
rimosso della storia nazionale, di quelle culture organicistiche e
antidemocratiche che il fascismo veicolò e trasformò in una macchina
statale.
Gli stereotipi sui rom cui attinge anche la destra al governo sono tra i più violenti e aggressivi.
Infatti,
con la progressiva scomparsa dei mestieri nomadi, coloro che li
esercitavano hanno finito per essere spesso equiparati a persone che
vivono di espedienti. È un paradosso se si considera ad esempio che
quelli che qualcuno dipinge come «ladri di bambini» sono gli stessi
giostrai cui per generazioni i genitori affidavano felici i loro piccoli
perché passassero un pomeriggio di festa. Oggi si oscilla tra le tesi
del razzismo differenzialista che fa breccia anche a sinistra, «quelli
sono così», punto e basta, e lo smantellamento delle politiche di
mediazione culturale e di dialogo costruttivo, equiparate ad «inciucio e
corruzione», che sono invece le uniche che in un paese civile
potrebbero migliorare le cose.
Il «prima gli italiani» non è in
realtà una novità visto il passato coloniale del nostro paese, eppure
nessuno sembra ricordarlo.
Il problema non riguarda la
storiografia, visto che si contano molti studi importanti dedicati al
razzismo e al colonialismo fascista. Piuttosto è nella cultura diffusa
che sembra non esserci alcuna consapevolezza del nostro passato
coloniale. E su questa base si sono andati costruendo i nuovi
stereotipi. Anni fa un collega afroamericano che lavorava in Italia mi
fece notare inorridito come sui nostri canali televisivi passassero in
continuazione spot pubblicitari che negli Stati Uniti, non certo un
paese esente dal razzismo, non sarebbero mai apparsi. Rappresentazioni
grottesche o mercificanti di uomini e donne nere o delle donne più
generale.
I sondaggi indicano che sono in molti, anche tra gli elettori di centrosinistra, ad approvare la «linea-Salvini».
Stiamo
correndo verso un punto di non ritorno e senza una sufficiente
consapevolezza del pericolo. Non mi convince la lettura un po’
semplicistica per cui se la sinistra non fa più la sinistra, «il popolo»
si butta a destra. Questo dice forse qualcosa della situazione, ma non
spiega l’insieme e la portata del problema. Piuttosto, credo vada
considerato il ruolo decisivo giocato dagli imprenditori politici
dell’intolleranza, la loro capacità di trasformare, e camuffare, i
discorsi da bar in interventi «politici». Inoltre, sul fondo emerge un
tema: sono più di vent’anni che ci siamo abituati a veder contrapporre
la cosiddetta «società civile» alla politica. Sia chiaro, combattere la
corruzione è importante, ma non si deve dimenticare come i vecchi
partiti di massa contribuivano alla formazione dei cittadini. Senza
tutto ciò, all’inverso, dalla «società civile» si levano gli umori su
cui specula Salvini.
Vent’anni di berlusconismo hanno reso il paese ciò che è ora. Il «prima gli italiani» che società annuncia?
La
«cifra» dell’Italia di oggi può essere riassunta nel crescente
individualismo, eredità proprio della stagione del Cavaliere. Ma anche
in prospettiva mi sembra questa la sfida più importante, specie per la
sinistra. Perché, come diceva Don Milani, «politica è uscire insieme dai
problemi, uscirne da soli è solo egoismo».