il manifesto 19.6.18
Razzista all’interno: «Censimento dei Rom, anzi ricognizione»
Il
ministro al Viminale. Salvini rimpiange l'iniziativa di Maroni di dieci
anni fa, che fu fermata dalla giustizia italiana e dal parlamento
europeo. «Purtroppo i Rom italiani ce li dobbiamo tenere», dice, poi in
serata spiega che non voleva proporre schedature. Solo allora i 5 Stelle
prendono appena un po' le distanze: «Pensiamo agli italiani». Dura
condanna della comunità ebraica
di Andrea Fabozzi
«Una
ricognizione sulla situazione Rom in giro per l’Italia per vedere chi,
come e quanti». Questo annuncia il ministro dell’interno a metà
giornata. Richiamando il disastroso precedente del 2008, quando il
governo Berlusconi dichiarò lo «stato di emergenza» in cinque regioni
«in relazione agli insediamenti delle comunità nomadi» e il ministro
dell’interno Maroni avviò una schedatura su base etnica con tanto di
prelievo delle impronte digitali, anche ai minori. Fermata poi dalla
giustizia amministrativa e civile italiana e dal parlamento europeo.
Salvini cita quel precedente come un episodio glorioso. «All’epoca fu
chiamato censimento e apriti cielo, allora chiamiamola “anagrafe” o
“fotografia”». Ma Salvini non pensa alla statistica: «Stiamo lavorando
anche sulle espulsioni dei detenuti stranieri. Purtroppo i Rom italiani
te li devi tenere in Italia».
Il precedente Maroni, citato male –
«risale ormai a 5, 6 o 7 anni fa, dopo nessuno ha più fatto niente», ma è
del 2009 – mette subito Salvini sulla cattiva strada. Quella dei
provvedimenti illegittimi, buoni solo per la propaganda. Prima il Tar,
poi il Consiglio di Stato e infine la Cassazione (nel 2013) hanno già
condannato l’«emergenza etnica», tanto è vero che Maroni in corso
d’opera cercò di correggere l’iniziativa, parlando di «ricognizione» nei
campi Rom – con la smentita però di tanti testimoni che hanno
raccontato di minori costretti a consegnare le impronte e cittadini
italiani con carta di identità portati a forza negli uffici di polizia
per una schedatura supplementare. Episodi che fornirono gli argomenti a
una clamorosa condanna dell’Italia da parte del parlamento europeo,
arrivata quasi dieci anni fa: 10 luglio 2008. Salvini in serata corregge
appena il tiro: «Non è nostra intenzione schedare o prendere le
impronte digitali a nessuno, nostro obiettivo è una ricognizione della
situazione dei campi Rom». Aggiunge la solita dose di paternalismo
ipocrita: «Intendiamo tutelare prima di tutto migliaia di bambini ai
quali non è permesso frequentare la scuola regolarmente perché si
preferisce introdurli alla delinquenza».
La strategia di
comunicazione del ministro dell’interno – la «sparata» e la ritirata che
non smentisce la sostanza – lascerebbe agli alleati di governo un
intervallo di sei ore per prendere almeno un po’ le distanze. Ma non
succede niente. O meglio, il Pd e la sinistra condannano con
dichiarazioni sempre più allarmate le parole di Salvini, Forza Italia
sussurra una qualche approvazione e Giorgia Meloni è costretta agli
straordinari per restare ameno in scia al capo leghista («so’ nomadi? E
allora devono “nomadare”», argomenta e gesticola). Il Movimento 5 Stelle
tace su tutti i fronti. L’unico segnale in stile radio Londra arriva da
un tweet del senatore Morra, che copia l’articolo 3 della Costituzione,
senza commento, in una misteriosa forma di autocensura. Poi, dopo la
smentita – non smentita di Salvini, ecco Di Maio che ritrova la parola:
«Mi fa piacere che abbia smentito qualsiasi ipotesi di schedatura e
censimento degli immigrati, perché se una cosa è incostituzionale non si
può fare», dichiara. Avvertendo che questo non fa di lui un
terzomondista: «Prima occupiamoci degli italiani, sono loro la
priorità»: gli farà piacere scoprire che sul territorio nazionale i Rom
sono quasi equamente divisi tra italiani e stranieri. Interviene anche
Alfonso Bonafede, cioè il ministro della giustizia, rassicurante sul
fatto che «Salvini ha parlato della condizione dei bambini». «Non sarà
un censimento ma un monitoraggio approfondito dei campi Rom», dichiara,
citando inconsapevolmente il Maroni del 2008 (che però non aveva detto
«approfondito»).
Dice Carlo Stassola, presidente dell’Associazione
21 luglio che ogni anno fa il punto sulla presenza Rom in Italia – sono
solo 26mila quelli in emergenza abitativa, di cui i due terzi sistemati
in campi gestiti dalle amministrazioni pubbliche – che «il ministro
dell’interno sembra non sapere che un censimento su base etnica non è
consentito dalla legge». Aggiunge la presidente delle Comunità ebraiche
italiane Noemi Di Segni che le parole di Salvini «risvegliano ricordi di
leggi e misure razziste di appena 80 anni fa tristemente sempre più
dimenticate. Non c’è ricerca del consenso, non c’è ansia di ordine
pubblico che giustifichi la proposta inquietante di enucleare specifiche
categorie sociali di cittadini, di censirli e di sottoporli a speciali
politiche di sicurezza solo a loro riservate». L’intenzione è in realtà
contenuta già nel famoso «contratto di governo», che parla di
«superamento dei campi Rom». E non campi nomadi. Differenza che non è
sfuggita a Liliana Segre. «Mi rifiuto di pensare che la nostra civiltà
democratica possa essere sporcata da progetti di leggi speciali contro i
popoli nomadi. Se dovesse accadere, mi opporrò con tutte le energie che
mi restano», ha detto la senatrice, sopravvissuta ad Auschwitz, durante
il dibattito sulla fiducia il 5 giugno. Il governo si era alzato ad
applaudire.