il manifesto 16.6.18
«In piazza nel ricordo di Sacko, uniamoci contro il razzismo»
Intervista
a Aboubakar Soumahoro . Il sindacalista che guida i braccianti Usb:
come i rider vogliamo paga dignitosa. Un tessuto sociale è stato
costruito dalla Turco– Napolitano passando per la Minniti–Orlando fino
al contratto di questo governo. Il tessuto legislativo fa cultura. È la
legge Bossi-Fini col vincolo lavoro-permesso che impone di accettare lo
sfruttamento, creando uno stato di ricattabilità che trascina verso il
basso l’insieme dei lavoratori
di Fabrizio Rostelli
A
distanza di due settimane dal brutale omicidio del sindacalista Usb e
bracciante maliano Soumaila Sacko, l’Unione sindacale di base oggi
manifesterà per le strade di Roma a sostegno di una piattaforma di lotta
alle disuguaglianze sociali e contro i vincoli dell’Unione Europea.
«Soumaila non è l’extracomunitario, non è il migrante; è la persona,
l’uomo, il lavoratore, il bracciante, il sindacalista Usb. Vorrei dire
al ministro Salvini che per noi la pacchia non è mai esistita, per noi
esiste il lavoro. Ora la pacchia è finita per lui, perché risponderemo».
Le parole del sindacalista italo-ivoriano Aboubakar Soumahoro hanno
fatto subito breccia nell’opinione pubblica. «Non voglio parlare di me –
spiega Aboubakar – abbiamo un morto ammazzato e stiamo cercando di
portare avanti un percorso collettivo. Non ci battiamo per la condizione
del singolo ma per quella degli uomini e delle donne nelle campagne,
come il nostro compagno Sacko. Soumaila era un lavoratore e, come molti
operai invisibili di altri settori, lavorava ben oltre le 6 ore e mezza
stabilite dal contratto. Il suo è stato un impegno come sindacalista,
all’interno di un progetto collettivo. Questo processo parla di
braccianti che, seppur lavorando 12 ore al giorno, non riescono a
vedersi riconosciute nella busta paga le giornate di lavoro effettive,
impedendogli di poter accedere alla disoccupazione agricola. Dal punto
di vista sociale, vivere all’interno di quelle lamiere e baraccopoli fa
emergere la violenza e la barbarie costruite nel corso degli anni, anche
sul piano legislativo. Questo è il terreno su cui tutti devono
misurarsi e lo può fare solo un sindacato che ha come prospettiva la
ricomposizione della classe operaia, che esiste, che non è mai scomparsa
ma che probabilmente si trova in quei luoghi dove i riflettori non
vengono mai accesi finché non viene fucilato un bracciante o finché non
muore un lavoratore della logistica durante uno sciopero. Questo sarà il
tema che porteremo all’interno della manifestazione di Roma e
nell’appuntamento che abbiamo lanciato per il 23 giugno a Reggio
Calabria, in ricordo di Soumaila e contro lo sfruttamento».
In una
settimana sono stati versati sul conto corrente messo a disposizione
dalla Federazione nazionale Usb circa 38mila euro che serviranno a
garantire un reddito alla moglie e alla figlia di Soumaila ed a coprire
le spese per il rimpatrio della salma e per gli iter giudiziari.
Inoltre, come richiesto specificamente e pubblicamente dai familiari,
una parte del fondo sarà utilizzata per continuare l’organizzazione e la
sindacalizzazione dei braccianti.
Avete avuto dei nuovi contatti con il ministro del Lavoro Luigi Di Maio? Quali priorità dovrebbe affrontare?
Il
7 giugno abbiamo chiesto ufficialmente un incontro al ministro ma al
momento non abbiamo avuto alcun riscontro, a parte qualche dichiarazione
in tv dove Di Maio ha affermato che incontrerà tutti. La priorità da
affrontare è senza dubbio il nodo dello sfruttamento dei braccianti.
Quei lavoratori e quelle lavoratrici ricevono una paga giornaliera che
varia dai 2,5 ai 3 euro. Alcuni percepiscono una busta paga mensile di
50 euro, altri addirittura vengono pagati in natura, con chili di pasta e
litri di olio. Questi temi non possono essere demandati al ministero
degli interni, qui si tratta di affrontare i diritti dei lavoratori al
di là del colore della pelle o dei documenti che hanno in tasca. Uguale
lavoro, uguale salario.
C’è chi accusa gli immigrati di
accontentarsi di salari molto bassi e conseguentemente di abbassare il
livello medio degli stipendi.
Gli immigrati non si accontentano,
vengono costretti da una logica e da un ordinamento che impone tutto
questo. È il caso ad esempio della legge Bossi-Fini che stabilisce un
vincolo obbligatorio tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno. Si
impone a questa parte della classe operaia di accettare quelle
condizioni di sfruttamento, creando uno stato di vulnerabilità e una
ricattabilità tali da trascinare verso il basso l’insieme dei
lavoratori.
Gli immigrati possono rappresentare una forza di cambiamento sociale?
Secondo
noi il tema è un altro. Quella parte di lavoratori maggiormente esposta
alle forme arcaiche di sfruttamento può essere elemento trainante per
un cambiamento, senza scendere nella dimensione della provenienza
geografica. Il tema è: cosa potrebbe unire le donne e gli uomini che si
spaccano la schiena nelle campagne ed i rider (i fattorini ingaggiati
dalle piattaforme della gig economy, ndr), impegnati in un percorso di
ricomposizione e di lotta? Cosa li può far stare uno accanto all’altro
in un corpo fatto di meticciato, dentro una classe operaia che ha una
moltitudine di lingue e di colori? La risposta è: la paga. Un lavoratore
delle campagne guadagna giornalmente 2,5 o 3 euro, un rider quanto
guadagna? La paga oraria è più o meno la stessa 3, massimo 4 euro. È
evidente che la ricerca di una paga dignitosa diventa l’elemento comun
denominatore intorno al quale riavviare processi di ricomposizione della
classe lavoratrice.
In che modo sarebbe possibile arginare le tendenze razziste e xenofobe?
Credo
che quello che abbiamo davanti sia un tessuto sociale che è stato
costruito nel corso degli anni dalle varie forze politiche che si sono
alternate a livello amministrativo e governativo nel parlamento. Ad
esempio le leggi Bossi–Fini o Turco–Napolitano, sono due facce della
stessa medaglia; lo stesso discorso vale per la Minniti–Orlando e per il
contratto che sta alla base di questo governo. Il tessuto legislativo
fa cultura.
Non vedi alcuna differenza?
La filosofia di
fondo è la stessa. Nel corso degli anni ha preso corpo un’equazione dove
migrante è sinonimo di marginalità e profugo è sinonimo di una
sottospecie umana, un diverso rispetto agli altri. La disumanizzazione è
stata così banalizzata da entrare nel corpo culturale di una parte
della popolazione, non solo dal punto di vista legislativo ma anche
sociale.
La lotta di classe esiste ancora?
I padroni non
l’hanno mai interrotta. Analizzando le condizioni di sfruttamento dei
braccianti o dei rider è evidente che c’è una parte che ha saputo
adattarsi ai tempi ma che non ha mai arrestato questa lotta. Come Usb
non abbiamo mai creduto alle tesi di chi si era illuso sostenendo che
non solo non esisteva più la classe operaia, ma che addirittura che non
esisteva più il conflitto. I braccianti, i lavoratori della logistica, i
precari dimostrano che esiste ancora una classe lavoratrice.