il manifesto 16.6.18
In tre mesi già 169 casi di violenza razzista in Italia
Dossier
di Lunaria. Il rapporto individua due cause della diffusione del senso
comune xenofobo e destrorso: la deriva securitaria del governo
precedente e la cassa di risonanza dei media
di Rachele Gonnelli
L’Italia
del buon cuore, della carità cristiana, addirittura delle lacrime
facili, è stata soppianta da una moda «cattivista» che lascia senza
respiro, nella quale «il razzismo è diventato un logo di successo, non
solo in campo politico». Alimentato dai social – che però servono anche
da antidoto e strumento di mobilitazione dal basso in senso opposto -,
l’hate speech che ha per oggetto quasi unico la rivalsa contro gli
immigrati è entrato nel senso comune, tra i ragazzini e persino in
alcuni spot del tipo «prima gli italiani» anche di grandi agenzie come
la Armando Testa (traghetti).
In attesa di una indagine accurata
dal punto di vista antropologico, di questo propagarsi di «un veleno
nazionalista, xenofobo e razzista» dà conto l’ultima indagine
dell’associazione Lunaria – scaricabile anche dal sito Cronache di
ordinario razzismo – dal titolo «Il ritorno della razza».
Il
dossier, pubblicato ieri, fotografa e cerca di trovare spiegazioni dei
169 casi di violenze razziste, verbali e fisiche, e di discriminazioni
accertate solo nel primo trimestre dell’anno (nell’intero 2017 furono
557). Il focus si ferma dunque al 31 marzo, prima dell’assassinio del
sindacalista di origini maliane Soumaila Sacko nelle campagne intorno a
Rosarno. Nei primi tre mesi di quest’annus horribilis, iniziato con
l’elogio della «razza bianca» di Attilio Fontana, allora candidato e ora
governatore della Lombardia, si contano: un morto e 26 feriti.
Il
caso più grave resta quello di Idy Diene, senegalese 55enne venditore
di ombrelli ucciso a Firenze il 5 marzo, colpito in quanto con la pelle
di un altro colore e prima vittima dell’anno anche se l’aggravante di
razzismo non è stata riconosciuta dagli inquirenti. Tra le 26 persone
ferite, sei sono quelle da arma da fuoco del tiro al bersaglio dalla
pelle scura di Luca Traini a Macerata il 3 febbraio. Gli altri sono
pestaggi.
Il rapporto mette sul banco degli imputati, per il
diffondersi di questo odio selettivo, due elementi: «lo slittamento
sicuritario dell’ultimo anno fortemente voluto dall’ex ministro
dell’Interno (Minniti)» e i media, che hanno fatto da cassa di risonanza
dei discorsi più barbari e del linguaggio più semplificato e
involgarito della destra razzista e fascista.