giovedì 14 giugno 2018

il manifesto 14.6.18
I corpi dei migranti indifesi ridotti a ostaggi
di Raffaele K. Salinari


L’odissea dei naufraghi ospitati sulla nave Aquarius è la metafora di una disegno che travalica gli angusti, e per molti versi tragici, ambiti della politica italiana, per trasportaci, come si conviene ad ogni metafora, verso un orizzonte di livello europeo e mondiale più vasto, che l’episodio della chiusura dei porti italiani a donne incinte e bambini, sembra illuminare di una luce oscura.
La consapevolezza che la posta in gioco sia molto più alta del destino della nave, e qui la parola riprende tutta la sua profonda gamma di significati, emerge chiaramente dalla definizione che, giustamente, è stata data degli esseri umani coinvolti: ostaggi.
Il risultato, infatti, ricercato cinicamente attraverso i corpi di queste persone, non a caso i più esposti e dunque i più indifesi, è nulla di meno che lo smantellamento delle Convenzioni internazionalmente accettate che permettono ancora di riconoscersi tutti all’interno della stessa appartenenza.
E qui, evidentemente, il corpo migrante, con tutti i suoi significati e significanti simbolici, diventa la massima espressione di una biopolitica che, come suo scopo ultimo, pretende di imporre proprio questa frattura all’interno della specie umana.
Da una parte allora si immagina una minoranza privilegiata perché titolata di tutti i Diritti e, dall’altra, oltre i vari muri, una maggioranza che, via via li deve perdere, affinché gli altri possano continuare a beneficiarne.
E infatti, nella modernità liberista, competitiva e consumogena, non c’è spreco e lusso per tutti.
Questa operazione, che si deve però confrontare e sostenere attraverso i meccanismi di quel che resta delle democrazie formali nel loro degradare progressivamente in democrature, ha bisogno di cancellare il tratto comune alla specie umana: la dignità di ognuno.
Non a caso è questo il pilastro sul quale si fonda la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. E cos’è la Dignità se non il riconoscimento che ogni essere umano ha gli stessi diritti per il solo fatto di esistere, di essere venuto al mondo, di occupare uno spazio unico ed irrepetibile nell’eterno ciclo dell’esistenza? Ridurre le persone ad oggetto di una transazione politica, renderle appunto ostaggio, significa privarle della loro dignità e dunque creare una scissione profonda all’interno del corpo unico ed indivisibile della nostra specie, indivisibile come lo sono i Diritti Umani.
Le Convenzioni che sono state violate sotto la spinta del Ministro degli Interni, evidentemente incapace di vedere al di là dell’ego dei suoi elettori in preda alle paure profonde ed inconfessabili che li agitano nel loro passare la domenica a passeggio tra le vetrine dei centri commerciali quando vengono disturbati nelle loro fantasie di possesso dai negri che chiedono le elemosina, include tutte le regole internazionali in materia di rifugiati e di soccorso umanitario.
È allora chiaro, o lo dovrebbe essere, a chi ha ancora occhi per vedere l’orizzonte più vasto, che la catena delle Convenzioni internazionali, incluse quelle che concernono l’ambiente, i diritti del lavoro, gli standard minimi di salute e di istruzione, la parità di genere, e via enumerando, è forte quanto il più debole del suoi anelli, in questo caso la violazione delle Convenzioni sul diritto di asilo, del soccorso in mare e di protezione dell’infanzia, da parte dell’Italia leghista e grillina.
Ma attenzione, quello che oggi riserviamo a queste persone già domani lo riserveremo ad altri soggetti diversamente deboli, che devono restare fuori dai supermercati o al massimo diventare parte della merce. Che gli elettori stanchi e delusi dalle debolezze e subalternità ideologiche della sinistra comincino a guardarsi dentro, a ripensare alle origini di molti dei loro cognomi, ai viaggi degli antenati, a quali lavori vorrebbero fare tra quelli che suppostamente tolgono i nuovi arrivati, e forse troveranno ragioni per interrogarsi questo plebiscito sovranista che hanno favorito solo con la loro paura di affrontare un ineludibile cambiamento che la vita stessa ha già deciso di attuare.