il manifesto 13.6.18
Parigi: «Italia da vomito». Scontro totale sui migranti
Delitto
d'asilo. Lezioni ipocrite»: palazzo Chigi valuta l’annullamento del
vertice Conte-Macron di venerdì. Alza il tiro anche la Spagna. La
ministra della giustizia Delgado ipotizza «responsabilità penali
internazionali». Merkel: «Se la Ue non riesce a rispondere in modo
unitario sull’immigrazione esplode»
di Andrea Colombo
La
crisi dell’Aquarius diventa un incidente diplomatico di prima
grandezza, tanto da far mettere addirittura in forse il vertice
italo-francese tra Macron e Conte di venerdì a Parigi. La tensione è
tanto alta da allarmare al massimo Angela Merkel: «Se la Ue non riesce a
rispondere in modo unitario sull’immigrazione esplode». La voce su una
possibile scelta deflagrante di Conte parte da palazzo Chigi, dopo lo
scambio di accuse tra Parigi e Roma oltre i confini dell’insulto. Il 5S
Toninelli ammette: «Io confermerei il vertice ma decide Conte». Alla
fine, quasi certamente, il vertice ci sarà. Ma in un clima tesissimo, un
incendio sul quale cerca di gettare acqua il ministro Savona: «Macron
sta giocando un ruolo importante. Se troviamo un punto d’incontro
rilanciamo l’Europa».
ALL’ORIGINE DELL’INCIDENTE due improvvidi
attacchi partiti dalla Francia. Prima Gabriel Attal, portavoce di En
Marche, il partito di Macron, definisce «vomitevole» il blocco dei porti
deciso dall’Italia. Attal, almeno, è critico con la linea dura adottata
anche dal suo Paese. Ma il secondo attacco parte direttamente
dall’Eliseo: mette all’indice «il cinismo e l’irresponsabilità» del
governo italiano. L’accusa non è infondata ma il pulpito non potrebbe
essere peggiore. In materia la Francia è sempre stata infatti molto meno
generosa dell’Italia.
E’ un fuoco incrociato. In contemporanea
con l’affondo di Macron alza il tiro anche la Spagna, con la ministra
della Giustizia Dolores Delgado che minaccia possibili «responsabilità
penali internazionali» per l’Italia. Anche la Spagna negli anni scorsi
si è distinta per la sua chiusura totale sul fronte immigrazione, ma a
Madrid, a differenza che a Parigi, c’è almeno un nuovo governo che può
scindere le proprie responsabilità da quelle del passato.
LA
REAZIONE NON SOLO della maggioranza ma anche di Fi e FdI è immediata e
durissima. Il Pd, dopo un attimo di esitazione, affida a Martina una
critica severa per Macron: «Le scelte sbagliate del governo portano
indietro l’Italia ma non accettiamo lezioni dalla Francia». Il livello
dello scontro è troppo altro perché non si faccia sentire anche palazzo
Chigi. Conte fa sapere di essere «fortemente irritato». Poi la
presidenza del consiglio dirama un comunicato bellicoso: «Abbiamo
accolto un inedito gesto di solidarietà della Spagna, che non è arrivato
invece dalla Francia che ha più volte adottato politiche ben più rigide
e ciniche in materia di accoglienza». Infine minaccia, sia pur
informalmente, di annullare il vertice di venerdì.
LA SPARATA
FRANCESE rafforza la posizione di Salvini. Da Di Battista a Di Maio
l’intero M5S fa quadrato intorno al governo e alle sue scelte. Toninelli
rivendica la «condivisione totale all’interno del governo» e replica a
muso duro: «Nessuno deve permettersi di etichettare l’Italia e il
governo come xenofobi e disumani». Il leader leghista può inoltre
vantarsi di aver posto la questione al centro dell’agenda europea,
provocando nell’Unione spaccature inedite. Se da un lato arrivano le
bordate franco-spagnole, dall’altro il vicepremier tedesco Seehofer
invita l’omologo italiano a Berlino, a conferma di quanto alto sia
l’allarme tedesco. Se il leader dei socialisti europei Bullman definisce
il leghista «un poveretto», il commissario Ue all’immigrazione
Avramopoulos si dice invece ansioso di lavorare con lui. Oggi al Senato
sarà Salvini e non Conte a informare l’aula sulla vicenda, sfruttando
l’occasione per una nuova passerella.
In serata Salvini risponde
di nuovo ai francesi, sfidando Macron ad accogliere i 9mila profughi che
si era impegnato a ospitare, e agli spagnoli: «Loro hanno sparato alle
frontiere, cosa che io non farei mai». Ma allo stesso tempo il leghista
attenua i toni: «Non tutte le Ong potranno attraccare in Italia». Cosa
diversa da «nessuna Ong».
LA REALTÀ È CHE SALVINI, a differenza
dell’M5S, non punta a una modifica del trattato di Dublino: obiettivo
poco realizzabile e che lo farebbe entrare in rotta di collisione con i
suoi principali alleati in Europa, i Paesi di Visegrad. Punta su una
strategia diversa, articolata da un lato sulle prove di forza in mare ma
dall’altro su un potenziamento della strategia già adottata da Minniti:
un accordo con i capibastone libici perché si occupino del lavoro
sporco, e stavolta senza nemmeno prendere in considerazione quel
pochissimo di diritti umani che ancora Minniti esigeva. Per questo entro
la fine del mese sarà in Libia. Ma i costi dell’operazione, il saldo
dovuto ai ras libici, vuole che vada tutto a carico della Ue.