il manifesto 13.6.18
Contro lo straniero e contro le élite due populismi diversi
Sinistra
/ governo. Questo nuovo governo nasce da una parziale convergenza tra
due diverse forme di discorso populista. Difficile dire quanto stabile
si rivelerà, ma in ogni caso, è su questa linea di frattura che dovrebbe
insinuarsi un discorso democratico alternativo
di Antonio Floridia
«Del
resto mia cara di che si stupisce/anche l’operaio vuole il figlio
dottore/e pensi che ambiente che può venir fuori/non c’è più morale,
Contessa». Torna in mente questa celebre canzone, a sentire certe
reazioni di un’opinione pubblica colta e democratica, di fronte alla
nascita del nuovo governo.
Un atteggiamento tra lo sconsolato e lo
spocchioso, un sentimento di stupore e di estraneità: ma come si è
potuti giungere fino a questo punto? E giù, poi, con le ironie
sull’incompetenza di questi parvenu.
Alcuni settori politici,
giornalistici e intellettuali, invece di chiedersi come mai il “popolo”
non abbia dato loro minimamente retta, sembrano ritrarsi in una
posizione di ripulsa, di denigrazione delle masse. Un vecchio riflesso
condizionato, tipico dei conservatori del buon tempo antico, quando si
pensava che il governo fosse una prerogativa naturale dei colti e delle
èlites.
Ma appare assai dubbio che, in questo modo, si possa
costruire un’opposizione efficace a questo governo e che si possa fare
ricredere quei milioni di connazionali che hanno votato per queste forze
“impresentabili”. Limitarsi a lanciare un grido allarmato sui
“populisti al governo” non intacca il consenso di cui godono.
Un’opposizione credibile presuppone un saldo “punto di vista”
alternativo. Ed è questo che oggi manca del tutto: dire che “mancano le
coperture” è un argomento assai fragile (e persino controproducente: un
elettore che ha votato per questi partiti, può sempre pensare: “beh,
allora gli obiettivi sono giusti, almeno ci stanno provando”).
Costruire
una cornice politica e ideale che possa davvero insidiare l’egemonia
populista presuppone, intanto, che si torni a praticare quella che un
tempo si chiamava “analisi differenziata”.
E quindi, in primo luogo, occorre interrogarsi su che tipo di populismo abbiamo di fronte.
Possiamo
assumere una definizione, minima ma essenziale, di populismo: il
populismo è un modo di costruzione del discorso politico, un’operazione
egemonica sugli schemi interpretativi della realtà sociale e del
conflitto politico, fondata sulla creazione di una dicotomia che separa
“noi” (il popolo”) da “loro” (gli “altri”). Possiamo dire allora che
questo nuovo governo nasce da una parziale convergenza tra due diverse
forme di discorso populista: la prima identifica l’”altro” con lo
“straniero”, la seconda con le “èlites”. Difficile dire quanto stabile
si rivelerà questa convergenza: ma in ogni caso, è su questa linea di
frattura che dovrebbe insinuarsi un discorso democratico alternativo.
Il
primo passo per una controffensiva è quello di non “regalare”
all’avversario anche il controllo sul linguaggio della politica, e su
alcune parole, in particolare: “l’anti-elitismo” e la “sovranità
popolare”. Le teorie elitistiche del potere sono sempre state un
caposaldo del pensiero conservatore. Da Gaetano Mosca fino ad alcuni
scienziati politici americani del Novecento, la critica alla democrazia
di massa si è sempre fondata sull’idea che il “cittadino comune” è
incompetente, incapace di avere una visione lungimirante dei propri
stessi “veri” interessi: e sull’idea che, in fondo, l’apatia è un segno
di consenso, o che un eccesso di “partecipazione” popolare è pericoloso.
Ebbene, la sinistra, oggi, non dovrebbe recuperare una sana attitudine
“anti-elitista”?
Ossia, individuare le vere oligarchie che
dominano l’economia e la società e indicare le vie per contrastarne lo
strapotere? E poi, la “sovranità popolare”: diamine, è un termine che
appartiene alla storia del pensiero democratico e rivoluzionario!
Possiamo ridurre tutto a “sovranismo” nazionalista? o non si dovrebbe
ridare un senso all’idea di una sovranità democratica, a fronte del
dominio cieco e impersonale di potenze economiche e finanziarie
imperscrutabili e sfuggenti? Solo così, al M5S si potrà poi rivolgere
un’obiezione cruciale: le “èlites” sono per voi sono solo le “caste”
politiche? E come la mettete con la flat tax?
Se analizziamo la
cultura politica del M5S troviamo un’idea ibrida di democrazia. Da una
parte, più che di democrazia “diretta”, è giusto parlare di una sua
visione immediata e “direttistica”: l’idea che la “volontà popolare”,
univoca e indifferenziata, si possa tradurre senza filtri e mediazioni
in una “volontà generale”; dall’altra, specie a livello locale, ci si
appella invece ad un’idea di democrazia “partecipativa” che ha
alimentato l’esperienza politica e associativa di molti attivisti (ad
esempio, in molti programmi amministrativi del M5S, frequente è il
richiamo al “bilancio partecipativo”). Una miscela contraddittoria:
un’idea di democrazia “a binario unico”, che può condurre ad ignorare i
principi cardine di un costituzionalismo democratico, ma che esprime
anche, in forme distorte, un’idea di recupero della sovranità popolare,
oggi comunemente sentita come svuotata, con un appello al protagonismo
civico. Da qui anche la novità di un ministero alla “democrazia diretta”
e l’inserimento nel “contratto” di alcune proposte di riforma
dell’istituto referendario (su alcune delle quali si può discutere,
mentre altre sono assai più problematiche). Ma anche in questo caso, è
una sfida che può essere raccolta solo se la sinistra torna a proporre
una visione ricca della democrazia rappresentativa, che sia fondata
sulla partecipazione politica dei cittadini, e non su una mera selezione
elettorale delle èlites.
Si può far leva su queste
contraddizioni; ma come sarà possibile se, ad esempio, all’interno del
Pd, ci sono ancora forze che pensano con nostalgia alla riforma
costituzionale sconfitta al referendum, o a leggi elettorali
simil-Italicum, che proprio ad una visione plebiscitaria della
democrazia erano ispirate? Sembra oramai largamente condivisa l’idea che
la crisi della sinistra sia nata dalla sua subalternità al
neo-liberismo economico; meno frequente appare il richiamo ad un’altra,
non meno grave, subalternità: quella ad una visione
elitistico-competitiva della democrazia. Anche su questo terreno si
dovrà misurare una possibile ricostruzione della sinistra.