il manifesto 13.6.18
Umani in cerca di autore
Paleoantropologia.
«Mio caro Neandertal. Trecentomila anni di storia dei nostri fratelli»
di Silvana Condemi, paleoantropologa e direttrice di ricerca al Cnrs di
Aix-Marseille, insieme al giornalista scientifico François Savatier, per
Bollati Boringhieri. Un indizio: negli stessi anni in cui, nelle terre
occupate dai Neandertal, arriviamo noi, Homo sapiens, i primi scompaiono
di Andrea Capocci
Secondo
gli antropologi William Straus e Alexander Cave, se un uomo di
Neandertal salisse in metropolitana sbarbato e ben vestito nessuno lo
noterebbe tra gli altri passeggeri. Lo affermarono al simposio che nel
1957 festeggiava il centenario del primo ritrovamento, nella valle di
Neander, del primo scheletro di una nuova specie umana. Da allora,
diversi altri fossili di Homo neanderthalensis (il nome scientifico di
Neandertal) hanno aiutato a capire qualcosa sulla prima popolazione
umana che popolò l’Europa tra i trecentomila e i quarantamila anni fa.
Tra gli autori delle principali scoperte sui Neandertal c’è Silvana
Condemi, paleoantropologa e direttrice di ricerca al Cnrs di
Aix-Marseille, che insieme al giornalista scientifico François Savatier
ha da poco pubblicato Mio caro Neandertal. Trecentomila anni di storia
dei nostri fratelli (Bollati Boringhieri, pp. 211, euro 24, traduzione
di Susanna Bourlot).
GRAZIE ALLE RICERCHE di Condemi e dei suoi
colleghi, ormai di Neandertal conosciamo molto: l’aspetto fisico, la
dieta, persino il Dna. Sappiamo, ad esempio, che non è un progenitore
dell’uomo moderno. Sapiens e Neandertal si sono sviluppati
parallelamente, in Africa e in Europa, da un predecessore comune. Un
fratello, dunque, non un antenato. Ma non riusciamo ancora a rispondere a
una domanda: che fine ha fatto Neandertal? Il mistero riguarda un
periodo molto breve, poche migliaia di anni in cui i Neandertal
sparirono di circolazione. Un indizio c’è: sono gli stessi anni in cui,
nelle terre occupate dai Neandertal, arriviamo noi, Homo sapiens. Allora
fu tutta colpa nostra?
IN REALTÀ, TRACCE DI CONFLITTO diretto tra
Homo sapiens e Neandertal non sono mai state trovate. La popolazione
Neandertal era limitata: al massimo, 70mila individui, divisi in qualche
migliaio di clan sul territorio europeo. Se ci fosse stata una guerra,
la scomparsa sarebbe stata ancora più rapida. È probabile, però, che
l’arrivo di Homo sapiens in Europa abbia cambiato parecchio gli
equilibri ecologici. Le due specie umane occupavano la stessa nicchia
ecologica e Homo sapiens potrebbe essersi rivelato semplicemente più
bravo nello sfruttarne le risorse.
Ma in cosa, esattamente, Homo
sapiens fosse più bravo di Neandertal non è chiaro. Dal punto di vista
della prestanza fisica, anzi, Neandertal assomigliava un po’ a un
super-eroe rispetto ai primi sapiens arrivati dai climi caldi
dell’africa. Superare tre glaciazioni, com’è accaduto ai Neandertal e ai
suoi progenitori europei, non era stato uno scherzo.
FISICAMENTE
TARCHIATO, Neandertal era in grado di attaccare pachidermi grazie a
muscoli possenti nutriti da una dieta iperproteica.
Anche dal
punto di vista intellettivo, tra i Neandertal e i sapiens appena
arrivati in Europa non c’era grande differenza. Il cervello
neandertaliano era grande come il nostro. Molti ricercatori, però,
pensano che dimensione cerebrale e intelligenza non siano così legate
tra loro. Ci sono altri indizi dell’intelligenza dei Neandertal: il
linguaggio, ad esempio.
Tra un clan e l’altro, composti ciascuno
poche unità di individui, c’erano in media cento chilometri di distanza.
Eppure, le stesse innovazioni tecnologiche sono state trovate in luoghi
molto lontani tra loro. Neandertal aveva probabilmente sviluppato un
linguaggio simbolico che gli permetteva di far circolare le informazioni
su come realizzare utensili e ornamenti a grande distanza.
Anche
sul piano dell’organizzazione sociale Neandertal aveva maturato una
complessità analoga a quella sapiens. Lo testimoniano ritrovamenti come
quello di un Neandertal messo malissimo: zoppo, monco, sordo, orbo da un
occhio per colpa di ferite e malattie. Eppure, si stima che sia morto a
un’età avanzata (per l’epoca) compresa tra i quaranta e i
cinquant’anni. Altri fossili – anche quello primario della valle di
Neander – mostrano caratteristiche simili. Il fatto che individui in
gravi condizioni riuscissero a sopravvivere fino alla vecchiaia è la
prova, secondo gli scienziati, che il clan neandertaliano garantiva
solidarietà anche ai suoi membri più svantaggiati, una sorta di «stato
sociale» preistorico.
Sapiens aveva però un alleato: il lupo
addomesticato, o cane. Non ci sono prove dirette che questo facesse la
differenza, ma gli studi sui cacciatori-raccoglitori odierni dimostra
che un clan che caccia con l’assistenza di un cane riesce a rimediare un
bottino del 40% più grande. Ma è una possibilità.
L’IPOTESI PIÙ
SUGGESTIVA, invece, è quella secondo cui Neandertal sopravviva nascosto
tra noi, annidato nel nostro Dna. Le popolazioni europee possiedono una
frazione sensibile (circa il 4%) di geni provenienti dai Neandertal.
Piuttosto che farsi la guerra, Neandertal e sapiens preferivano fare
l’amore e dar vita a una progenie ibrida (noi). L’ipotesi che Homo
sapiens abbia gradualmente assorbito la popolazione neandertaliana è
rafforzata dai ritrovamenti di scheletri fossili delle due specie nelle
stesse zone. In particolare, gli scavi in Siria e Israele mostrano che
circa centomila anni fa Neandertal e sapiens si devono essere incontrati
da quelle parti.
In poche migliaia di anni, una specie in
equilibrio con il suo habitat per centinaia di migliaia di anni fu
sostituita da un’altra con la perniciosa tendenza alla crescita
indefinita. Ora che sul baratro ci siamo noi, è una lezione da studiare
con attenzione.