il manifesto 12.6.18
La Fortezza Europa ringrazia Salvini
di Guido Viale
«Garantiamo
una vita serena a questi ragazzi in Africa e ai nostri figli in
Italia». Così il ministro della Repubblica Salvini, nell’atto di negare
l’accesso ai porti italiani a una nave di Sos Mediterranée con a bordo
con 629 profughi (non tutti «ragazzi»; ci sono anche 7 donne incinte, 11
bambini e 123 minori non accompagnati). Ora ad accoglierli sarà la
Spagna e non sarà facile, anzi. Ma poi c’è in vista anche il blocco di
una seconda nave, la Sea Watch, in attesa di altri naufraghi salvati da
navi mercantili e di decine di gommoni stracarichi che non troveranno
più navi delle Ong a raccoglierli, per le quali si prospettano ulteriori
e drammatiche strette.
La «vita serena in Africa» che Salvini offre a quei ragazzi è il ritorno in Libia.
Con
le donne stuprate in modo seriale, gli uomini venduti come schiavi e
tutti e tutte torturate, affamati, ricattate, ammazzati come insetti.
Quanto a quella garantita ai «nostri figli», anche per loro c’è
l’emigrazione; certo in condizioni di maggiore sicurezza, ma per andare a
fare i lavapiatti dopo una laurea o un diploma.
Così si svuotano i
paesi «periferici» – dell’Africa, con il politiche coloniali tutt’altro
che finite; ma anche dell’Europa, con l’«austerità» – delle forze
migliori; purché quelle peggiori continuino a governare.
«Tutta
l’Europa si fa gli affari suoi», aggiunge «vittorioso» Salvini. Ma in
realtà è lui che fa gli affari sporchi per conto di tutti coloro che
sono al governo dei paesi europei. Perché per difendersi dal «nemico» –
che ormai sono i profughi, e solo loro – la Fortezza Europa ha tracciato
due distinti confini: uno alle frontiere esterne dell’Unione: muri,
reticolati, filo spinato, guardie, cani, hot spot, eserciti, navi
militari, leggi, regolamenti di polizia, accordi e laute mance per i
governi dei paesi di transito, truppe mascherate da consiglieri e
chilometri di costosissimi impianti di sorveglianza. L’altro alla
frontiera delle Alpi (e a Idumeni o a Lesbo), per impedire a chi è già
arrivato in Europa senza affogare di raggiungerne il cuore: i paesi dove
ha parenti, amici, compatrioti che lo aspettano e forse persino la
possibilità di trovare lavoro.
Per questo le alternative, per
l’Italia e il suo governo, sono due: o rafforzare ulteriormente il primo
di questi confini o cercare di «sfondare» il secondo. Salvini, in
perfetta continuità con il predecessore Minniti, ha scelto la prima,
aumentando la dose con il blocco dei porti e rivendicando per sé una
responsabilità che i suoi colleghi europei non hanno il coraggio di
assumersi: di far affogare, morire di fame e di sete, respingere e
rinchiudere nel lager libico i fuggiaschi che l’Europa non vuole
accogliere. Ma Salvini sostiene, con questa sua scelta, di voler mettere
alle strette il resto d’Europa: non rivendicando l’apertura dei confini
alle Alpi, la libera circolazione di profughi e richiedenti asilo, un
grande piano di investimenti – magari, per la rigenerazione ambientale
dell’Europa – che offrirebbe occasioni di impiego anche a tutti i nuovi
arrivati e ne favorirebbe l’accettazione da parte delle comunità locali
(preparando magari anche le condizioni per un ritorno volontario, dopo
qualche anno, nei paesi da cui sono scappati, per ricostruirlo). Senza
un piano del genere, infatti, anche l’accoglienza non ha futuro. Invece
Salvini chiede un maggior impegno europeo nel rafforzamento dei confini
«esterni»: più soldi a chi si impegna nei respingimenti, più navi a
sbarrare le rotte marine, più leggi e regolamenti liberticidi, più
deroghe alle convenzioni internazionali, più campi di concentramento
fuori dei confini dell’Unione, ecc. Per questo, di fronte a una timida
proposta di riforma della convenzione Dublino 3 – che impone ai profughi
di rimanere nello stato di approdo – Salvini si è alleato con i governi
più ferocemente ostili ai migranti, quelli capeggiati dall’ungherese
Orbán, le cui politiche comportano di fatto un aggravamento degli oneri
che gravano sull’Italia. Salvini queste cose le sa, come sa che i
respingimenti su cui ha basato tutta la sua campagna elettorale sono
impossibili e si risolvono solo in più «clandestinità», lo «stato
giuridico» dei senza diritti istituito dalla legge Bossi-Fini. Centinaia
di migliaia di profughi e migranti senza permesso di soggiorno, o
perché «denegati» per le spicce, o perché rimasti senza lavoro; tutti
messi per strada e costretti ad arrangiarsi: a cader vittime della
tratta, a raccogliere arance e pomodori o mungere vacche nei tanti lager
dispersi in tutte le campagne del paese, a rischiare la vita nei
cantieri illegali, ad elemosinare o a farsi reclutare dalla malavita, ad
accamparsi sotto i viadotti. È questa la situazione che «crea allarme»
nel paese e su cui Salvini e i partiti come il suo stanno costruendo le
proprie fortune elettorali – ma non solo – in tutta Europa; nel doppio
ruolo di vittime e di persecutori di un popolo di persone private di
tutto: nella speranza che nessuno possa o voglia più guardare negli
occhi quegli esseri umani senza diritti.