mercoledì 6 giugno 2018

Il Fatto 6.6.18
Il silenzio infastidito del Pd di fronte alla parola “mafia”
di Peter Gomez


È certamente normale ed è sempre accaduto. In passato, anzi, durante alcuni passaggi dei discorsi per la richiesta di fiducia dalle opposizioni erano addirittura arrivati fischi e insulti. Eppure, visto che a parole tutti in Parlamento si dicono antimafia, ci è dispiaciuto vedere l’infastidito silenzio con cui quasi tutto il Pd e ovviamente Forza Italia hanno reagito alle tante frasi dedicate dal neo presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, alla lotta alla criminalità organizzata. Quando il premier ha detto “combatteremo con ogni mezzo le mafie aggredendo le loro finanze e la loro economia” i rappresentanti di M5S e Lega si sono alzati in piedi e mezzo Senato è esploso in un lungo e scrosciante applauso. Il forzista Paolo Romani invece armeggiava con il telefonino ostentando disinteresse. Altri suoi colleghi chiacchieravano tra loro, mentre gli esponenti dem restavano immobili, con le braccia conserte o le mani appoggiate sugli scranni, seguendo l’esempio di Matteo Renzi. Una scelta precisa, testimoniata dal fatto che proprio l’ex segretario del Pd avrebbe poi applaudito per primo e convintamente le parole di Conte dedicate alla permanenza dell’Italia nella Nato e all’alleanza con gli Usa.
Il contrasto tra i due atteggiamenti è stato plateale. E a rimarcarlo ancor più si è aggiunta pure la richiesta, rivolta dal senatore di Scandicci alla presidente Elisabetta Alberti Casellati, di stoppare lo slogan “Fuori la mafia dallo Stato” urlato dai banchi della maggioranza.
Come è giusto che sia, noi il nuovo governo giallo-verde, anche in fatto di lotta alle cosche e alla borghesia mafiosa, lo giudicheremo dai fatti e non dalle parole. Ci chiediamo, però, sulla base di quali valori il Partito democratico intenda rifondarsi. Stare semplicemente all’opposizione, scommettendo che i propri avversari portino il Paese al fallimento come più volte vaticinato, non ci pare la strategia migliore per sperare di risalire la china. Davvero Renzi e i suoi credono di riuscir a rappresentare la sinistra dimenticando che nel pantheon ideale di quella parte politica c’è, o ci dovrebbe essere, Pio La Torre? Fino a qualche anno fa chi votava per il Pd credeva e pensava che l’antimafia fosse uno degli elementi fondanti di quel partito. Certo, qualunque elettore vedeva che anche da quelle parti i casi di collusione c’erano (come vi sono nella Lega), ma un po’ come i cattolici, i simpatizzanti del Pd ripetevano “non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua chiesa”. Poi però anche la fede ha preso a vacillare. Il dogma dell’antimafia è stato dimenticato e negato. Il primo segnale è arrivato proprio con il discorso con cui Renzi aveva chiesto nel 2014 la fiducia per il suo governo. Allora i riferimenti alle mafie erano stati minimi, mentre non era stata spesa nemmeno una frase per ricordare l’enorme flusso di denaro (170 miliardi di euro) gestito ogni anno dai clan. Così Roberto Saviano aveva protestato. Ma dopo una lettera di Renzi piena di rassicurazioni, mattone dopo mattone, la narrazione antimafiosa del Pd era stata smontata. Dall’interno. Con gli attacchi a Rosy Bindi mossi dai suoi colleghi di partito; le alleanze siciliane con gli uomini di Totò Cuffaro; le ri-candidature di parlamentari indagati per reticenza durante il processo Mafia Capitale. E con lo stesso Renzi che definiva “una rappresentazione macchiettistica” una circostanza incontestabile: vi sono intere zone del Paese in mano alla criminalità organizzata. Poi è arrivato l’infastidito silenzio di ieri. Che ora pesa più di mille parole.