martedì 5 giugno 2018

Il Fatto 5.6.18
La rivolta dei braccianti: “Ammazzati come animali”
La marcia - Sciopero degli stagionali il giorno dopo l’assassinio di Soumayla Sacko: “Ucciso in un contesto politico. C’è chi ha detto ‘è finita la pacchia’”
di Lucio Musolino


Soumayla Sacko era un cittadino, un bracciante e un lavoratore impegnato nella lotta contro la schiavitù. Non era un ladro ma viveva in quella gabbia”.
Il sindacalista dell’Usb Abobakar Soumaoro la chiama così la baraccopoli di San Ferdinando. Viveva in quel ghetto il maliano di 30 anni ucciso due giorni fa mentre si trovava in un terreno abbandonato a San Calogero. Era lì per prendere alcune lamiere di alluminio che servivano a costruire la baracca per i suoi compagni, quando un uomo gli ha sparato un colpo di fucile alla testa ferendo lievemente altri due migranti. Nessuno di loro ieri si è recato nei campi per raccogliere le arance. Né in Calabria e né a Foggia. Non potevano in un giorno che, per tutti, è stato di sconforto e di rabbia. Hanno aderito allo sciopero indetto dall’Usb.
“Ci ammazzano come animali. Basta uccidere gli africani”. È uno dei tanti cartelli esposti durante il corteo che dalla tendopoli, nella zona industriale a ridosso del porto di Gioia Tauro, è arrivato fino al Comune di San Ferdinando. “Salvini razzista” urlano gli africani con in mano la foto del bracciante ucciso: “Sacko aveva un regolare permesso di soggiorno, una figlia di 5 anni e una compagna in Mali. Non era l’extracomunitario o il migrante ma una persona”. Dalla protesta a una rivolta, come quella del 2010, il passo poteva essere breve. Ma Soumaoro riesce a tenere calmi gli animi: “Tocchi uno e tocchi tutti”. Le parole del sindacalista dell’Usb inchiodano una politica che, negli anni, ha fatto finta di occuparsi dei migranti e del ghetto di San Ferdinando.
“Sacko – afferma Soumaoro – è stato assassinato in un contesto politico. Un ministro della Repubblica ha dichiarato in questi giorni che è finita la pacchia”. Chiaro il riferimento a Matteo Salvini che si prende le bacchettate pure di don Pino De Masi, il prete di Libera che, in merito all’omicidio del migrante, punta il dito su un “clima che certamente non è stato favorevole. Dobbiamo abbassare i toni altrimenti i frutti sono questi. Mi auguro che la campagna elettorale sia finita per tutti e che chi governa comprenda che lo faccia per il Paese”.
Prima di chiedere un incontro con il ministro del Lavoro Luigi Di Maio, il sindacalista dell’Usb prende il megafono e rincara la dose contro Salvini: “Noi non siamo mai stati nella condizione di parassita a differenza del suo partito politico che, come dice la magistratura, prendeva i contributi e li mandava guarda caso in Africa. Vogliamo dire al ministro dell’Interno che la pacchia è finita per lui, non per noi. La legge Bossi-Fini, razzista e schiavista, non l’abbiamo portata dall’Africa ma l’hanno approvata loro in Parlamento. Questa terra è stata saccheggiata non dai migranti ma dai politici”.
Dal letargo si è svegliato anche il segretario del Pd Matteo Renzi che denuncia “l’orribile silenzio” attorno alla morte del trentenne maliano: “Era nero e molto probabilmente è stato ucciso per questo, per il colore della sua pelle – si legge in un tweet –. Sacko Soumayla viveva in una baraccopoli insieme a quei compagni che con lui sono stati feriti”. Sui social network, però, Renzi ha omesso che il suo è stato lo stesso governo incapace di trovare una soluzione dignitosa per quei braccianti africani. Ed è stato lo stesso governo che ha bloccato i fondi per i migranti che servivano al Comune di Riace, distruggendo quel “modello di accoglienza” costruito con fatica dal sindaco Mimmo Lucano oggi definito “zero” dal neo ministro Salvini che, così come il suo collega Di Maio e il premier Conte, fino all’ora in cui scriviamo non ha commentato la tragedia del migrante ammazzato.
Tornando alle indagini, non è escluso che i carabinieri riescano nelle prossime ore ad arrestare l’uomo che ha ucciso Sacko a fucilate.
Dagli ambienti della Procura di Vibo Valentia non trapela nulla. La sensazione, però, è che ci sia almeno un sospettato, forse già sottoposto allo stub, l’esame che consentirà agli investigatori di verificare eventuali tracce di polvere da sparo. Se così è, la “questione di giorni” a cui fanno riferimento gli inquirenti potrebbe essere legata all’esito dell’accertamento tecnico.