Corriere 5.6.18
l migrante del Mali
Soumaila Sacko era un eroe Proviamo a dirlo
di Pierluigi Battista
Soumaila
Sacko era davvero un eroe. Lui, migrante dal Mali, assassinato da una
fucilata che lo ha colpito in testa in Calabria. Senza ricevere
l’omaggio funebre del nuovo governo. Era un eroe perché era un
sindacalista dei nuovi schiavi, era l’unico che si occupava di loro in
quella terra disgraziata.
S oumaila Sacko era un eroe. Assassinato
da una fucilata che lo ha colpito in testa da un delinquente razzista,
Soumaila Sacko, migrante dal Mali, non ha ricevuto l’omaggio funebre del
nuovo governo incapace di dire alcunché su un giovane ammazzato in
Calabria in un orrendo tiro al bersaglio. Ma Soumaila Sacko era davvero
un eroe che sferza la nostra coscienza. La coscienza di tutti, anche di
noi «buoni» e «civili», non solo dei razzisti, dei violenti, degli
intolleranti. Era un eroe perché era un sindacalista dei nuovi schiavi,
era l’unico che si occupava di loro in quella terra disgraziata.
L’unico.
Noi no, e non solo quelli del nuovo governo in cui l’esodo dei poveri
viene definito, senza pudore, come una «pacchia». Noi stentiamo a
riconoscere i tratti del nuovo schiavismo. Soumaila Sacko, solitario ed
eroico, lottava contro i nuovi schiavisti che fanno lavorare i
miserabili scampati alla guerra e alla fame per due euro all’ora,
quindici ore al giorno, nel caldo bollente e sotto le tempeste. Noi lo
sappiamo, ma facciamo finta di niente. Stava frugando in un deposito di
rottami per procurarsi il tetto dei tuguri di lamiera dove sono stipati
migliaia di nuovi schiavi, con qualche bambino persino: noi lo sappiamo
che esistono queste discariche di lamiera, ma facciamo finta di niente.
Era malvisto dai «caporali» che ogni giorno prendono per fame questi
nuovi schiavi per la raccolta di pomodori e agrumi. Un tempo la
battaglia contro il «caporalato» era un fiore all’occhiello per chi
lottava contro la mancanza di diritti e per la dignità del lavoro. Un
tempo, si diceva, il movimento bracciantile, la parte più nobile della
storia di una sinistra che non sempre è stata nobile, insegnava ai
lavoratori a non «chinare il capo» davanti agli sfruttatori che si
servivano dei mazzieri e dei «caporali». Oggi solo Soumaila Sacko
portava quella bandiera ed è stato ucciso, come un eroe. Lasciato solo
da chi non presta più attenzione agli ultimi della terra, i nuovi
schiavi ammassati nei campi di lamiere a due l’euro l’ora. E nemmeno ai
penultimi, il cui lavoro viene polverizzato dall’arrivo degli ultimi che
prendono ancora meno, e che sono arrabbiati, e non si riconoscono più
nei partiti tradizionali che li hanno abbandonati e sono tentati dal
rancore xenofobo: i penultimi che si scagliano contro gli ultimi.
Noi
sappiamo che la maggior parte dei nuovi schiavi lavora senza contratto.
Sappiamo che mai si è visto da quelle parti un ispettore del lavoro per
esaminare le irregolarità e colpire gli imprenditori italiani che
approfittano del lavoro nerissimo. Noi sappiamo che per una manciata di
euro i nuovi schiavi si piegano al lavoro stagionale della raccolta
agricola, ma anche a massacrarsi di fatica (regolare?) nella
distribuzione dei pacchi che noi siamo contenti di ricevere in casa con
la fatica di un clic. Davvero non immaginiamo in che condizioni vivono e
lavorano i lavapiatti pagati in nero? Chi pulisce i servizi igienici
negli autogrill, nelle stazioni ferroviarie, nei grandi outlet? Di che
colore è la pelle, nella maggior parte dei casi? E chi li assume, e che
punizioni incombono per chi si avvale di quella manodopera sottopagata
violando la legge? Non è che non sappiamo, è che facciamo finta di non
sapere, avvolgendoci nel calore della retorica dolciastra
dell’accoglienza, e delegando il lavoro duro di denuncia e di battaglia a
Soumaila Sacko, eroe misconosciuto, assassinato come in una riedizione
di Mississippi Burning . Isolato dai «cattivi», abbandonato anche da noi
«buoni», dai liberali, dai tolleranti, dai moderni, che la sanno lunga
ma sono incapaci di vedere che in Italia è rinato lo schiavismo.