Il Fatto 29.6.18
“Resuscitare vecchie coalizioni e vecchi politici non salverà il Pd”
Il sociologo: “Non penso basti creare il ‘fronte repubblicano’, né rianimare il centrosinistra”
di Luca De Carolis
Domenica
scorsa sul “Fatto”, Antonio Padellaro ha illustrato la strategia del
“Ronf ronf” del Pd, un partito dormiente che dimentica i suoi sei
milioni di elettori e quelli che potrebbero tornare. Oggi interviene
Luca Ricolfi.
Luca Ricolfi è un sociologo, insegna Analisi dei dati
all’Università di Torino ed è direttore scientifico della Fondazione
David Hume. Oltre a questo, però, è da anni – almeno dal suo Perché
siamo antipatici? del 2005 – un fustigatore della natura elitista della
sinistra italiana. Per questo il Fatto gli ha chiesto un parere
sull’ennesima débâcle elettorale del Pd. Chiedendogli se ci sia ancora
vita a sinistra. E, soprattutto, cosa fare ora.
Il Pd esce moribondo dalle Amministrative. Un tracollo annunciato?
Sì
e no. Si poteva anche supporre che, visto il “tradimento” dei Cinque
Stelle, molti elettori di sinistra potessero tornare all’ovile. Così non
è stato, probabilmente perché l’atteggiamento dei cittadini italiani
verso il governo, in questo momento, è di tipo sperimentale: prima di
bocciarli, vediamo quel che combinano.
Lei ha spesso insistito sui
limiti della sinistra che non ha capito l’importanza del tema della
sicurezza. Ma nello sprofondare dei dem c’è solo o soprattutto questo?
Quanto pesano temi come le banche o il Jobs Act?
Secondo me poco. Se gli italiani fossero imbufaliti con il Pd per il Jobs Act avremmo assistito a un trionfo di LeU.
Renzi si è dimesso da segretario ma è ancora in prima fila. Quanto ha inciso?
Renzi
(e Boschi) hanno fatto molto per rendere antipatica tutta questa nuova
classe dirigente del Pd, ma la sconfitta è innanzitutto politica. E
secondo me, in ultima analisi, è dovuta a un’unica causa: gli italiani
si sono sentiti presi in giro, per non dire derisi. Presi in giro
quando, con 3 milioni di disoccupati e 5 milioni di poveri, veniva loro
raccontato che la situazione era molto migliorata, per merito del
governo. Derisi quando veniva loro spiegato che non dovevano
preoccuparsi della criminalità e degli sbarchi, perché e entrambi erano
diminuiti.
Ora nel Pd si potrebbe anticipare il Congresso
all’autunno, così da scegliere un nuovo segretario. Ma è quello che
serve? E soprattutto, va svolto con le primarie o è un rito svuotato?
Le
primarie sono un ottimo strumento per proclamare un leader,
coinvolgendo non solo gli iscritti. Per cambiare linea, invece, ci
vorrebbe un vero congresso, preparato nei circoli (una volta si
chiamavano sezioni), con relazioni dure e contrapposte. Se fossi del Pd,
mi ispirerei al vecchio Pci, non al modello del “partito leggero”
emerso in era veltroniana.
Nel crollo generale sembra profilarsi la
candidatura a segretario del governatore del Lazio Nicola Zingaretti,
fautore di un centrosinistra largo. È un profilo adeguato a suo avviso? E
bisogna comunque ripartire da un campo di centrosinistra?
Preferisco
il fratello. Scherzi a parte, la risposta è un doppio no: se qualcosa
di nuovo deve nascere, non può essere guidato da un vecchio
professionista della politica, né è realistico pensare che possa aver
successo riverniciando il centrosinistra.
Calenda, arrivato tre mesi
fa nel Pd, propone già di superarlo e di creare un “fronte
repubblicano”. Che ne pensa? Il Pd è davvero un paziente che non si può
più salvare?
Probabilmente Calenda ha ragione nel diagnosticare
l’inguaribilità del Pd. Però non credo che la soluzione sia il “fronte
repubblicano”, almeno se per fronte repubblicano si intende una santa
alleanza contro i barbari, nello stile delle mobilitazioni francesi
contro i Le Pen, padre e figlia. Il fronte può funzionare se i cittadini
percepiscono l’incombere di un pericolo mortale, come il fascismo, il
nazismo, l’odio razziale. Non mi sembra questo il caso, oggi in Italia.
Pochi pensano che Salvini e Di Maio costituiscano un simile pericolo.
Se
proprio dobbiamo immaginare una mobilitazione da “fronte”, penso che
l’unica eventualità che potrebbe attivare una formula del genere sia il
rischio di uscita dalla zona euro, uno scenario che sì, effettivamente
potrebbe mobilitare un fronte impaurito dal salto nel buio.
Nelle
Amministrative gli unici che si sono salvati dalla tempesta sembrano i
candidati più “rossi”, come quello che ha vinto a Brindisi. È un segnale
del fatto che la gente chiede un partito di sinistra radicale al posto
di un partito moderato?
Non credo, penso che nelle elezioni
amministrative si scelga soprattutto la persona che ci appare più seria
o, nelle situazioni in cui prospera il voto di scambio, la persona che
ha più possibilità di garantire favori.
Come si risponde da sinistra sul tema immigrazione? Come si può contrastare il Salvini che vuole chiudere i porti?
A
me l’unica risposta di sinistra pare questa: accogliere tutti quelli
che possiamo (ovvero molti meno di oggi), ma poi smetterla di
abbandonarli come facciamo da anni: la sinistra deve integrare gli
immigrati, non aprire le porte e poi infischiarsene. Chiudere i porti
non è la soluzione, ma riaprirli solo quando gli altri Paesi
mediterranei (Spagna e Francia, innanzitutto) avranno accettato di fare
la stessa cosa, è più che ragionevole.