venerdì 29 giugno 2018

Il Fatto 29.6.18
Profughi, altro che Unione: gli accordi si fanno “con chi ci sta”
Italia, Grecia e Spagna vogliono la riforma del Protocollo di Dublino, Berlino e Parigi più interessate ai flussi interni
di G.G.


Più temuti che reali, i flussi dei migranti alterano le geometrie già complicate dell’Unione europea e spaccano o creano fronti e crinali dentro l’Ue: così, la Germania quasi rinuncia a priori a cercare un’intesa a 28 e vira su accordi fra ‘chi ci sta’, rispolverando la formula non proprio fortunatissima dei ‘volenterosi’, un po’ sul modello di quanto avvenuto nell’epilogo della vicenda Lifetime – da cui però proprio Berlino s’è chiamata fuori.
“La migrazione potrebbe diventare una questione esistenziale dell’Unione europea”, dice la Merkel al Bundestag prima di partire per Bruxelles. Forse, lo è già diventata. “O la gestiamo o nessuno crederà più al nostro sistema di valori”, aggiunge la cancelliera. Specie se i primi a non crederci, o almeno a non attuarli, siamo proprio noi.
Non sono più i – bei? – tempi che Francia e Germania arrivavano al Vertice europeo con l’accordo fra di loro già pronto e raccoglievano senza grandi difficoltà le adesioni del Benelux e dei Nordici, mentre i mediterranei si facevano magari convincere con un piatto di lenticchie. È l’Italia, stavolta, a voler tenere i tavoli separati: “Se qualcuno in passato s’è fatto convincere da un po’ di flessibilità, non è più così”, assicurano fonti del governo: la trattativa sui migranti sarà sganciata da quella sui conti (che, del resto, non si fa qui ora).
L’indisponibilità alla redistribuzione dei migranti da parte di alcuni Paesi – i quattro di Visegrad, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, in primo luogo – ha sostanzialmente provocato l’archiviazione degli accordi raggiunti nel 2016 e mai attuati in modo significativo. E l’oggettiva difficoltà della questione migranti ottunde le coscienze anche dei campioni del rispetto dei diritti umani, ormai pronti a pagare senza batter ciglio la Turchia e Paesi africani perché trattengano i profughi nei loro campi e mantengano ben chiusa l’ “autostrada dei Balcani’ e socchiusa la ‘rotta del Mediterraneo’. Infatti, sul rifinanziamento dell’intesa con Ankara e del fondo per l’Africa non c’è quasi discussione: l’Italia si preoccupa di verificare che, pagati i turchi, restino abbastanza denari per gli africani.
Per il resto, e in carenza di meglio, la Merkel e non solo lei, è pronta a procedere con intese a pelle di leopardo, che sono parenti solo alla lontana delle cooperazioni rinforzate, previste e codificate dai trattati. Sui vari punti, cerchiamo di scomporre il puzzle.
I Paesi di primo ingresso, cioè sostanzialmente Italia, Grecia, anche la Spagna, visto che Malta – fino a mercoledì – era adamantina nel suo rifiuto di soccorrere e accogliere, sono, o dovrebbero essere, in primo luogo interessati all’affermazione del principio della “responsabilità condivisa” e alla riforma del Protocollo di Dublino, per fare cadere la clausola che l’esame delle domande d’asilo è responsabilità del Paese di primo ingresso. Su questo punto, vi sono aperture francesi e anche tedesche.
Ma la Germania, come pure la Francia, è soprattutto interessata a discutere i “movimenti secondari”, cioè sugli spostamenti all’interno dell’Unione di migranti entrati in un Paese e il cui ‘status’ non è stato ancora chiarito. Mentre la Grecia sembra sentirci da quell’orecchio, l’Italia si vuole sorda: è “impensabile” – si dice – affrontare la questione che sta a cuore alla Merkel senza aprire un dibattito su tutto il ‘decalogo’ presentato al presidente del Consiglio Giuseppe Conte al pre-Vertice ristretto di domenica scorsa. Fiscalismi e rigidità dei principali protagonisti della questione migranti rendono diffidenti e meno flessibili anche i campioni dell’accoglienza, come la Svezia, il Paese con più rifugiati ‘pro capite’. Tanto più che i fronti e i crinali non sono solo nazionali, ma sono pure politici e dividono i governi: ricevendo all’Eliseo Conte, il presidente francese Emmanuel Macron aveva affermato il primato dell’‘asse dei leader’ di Germania, Francia, Italia, rispetto all’‘asse dei ministri dell’Interno’ d’Austria, Germania, Italia. Ma la Merkel arriva a Bruxelles tenuta quasi ostaggio del suo ministro dell’Interno, Horst Seehofer.