Il Fatto 29.6.18
Cari deputati dem, esattamente voi che lavoro fate?
di Silvia Truzzi
Con
il rispetto che si deve ai moribondi, ci accosteremo in queste righe al
capezzale del Pd. Impegnato, al proprio interno e non solo, in un
avvincente dibattito ombelicale sul proprio futuro: con un po’ di senso
dell’umorismo, potremmo sintetizzarlo nell’interrogativo di leniniana
memoria “Che fare?”. Detto che noi concordiamo pienamente con il
professor Canfora (che un paio di giorni fa sul Fatto invocava in
proposito “la chirurgia demolitoria”) si fa un gran parlare di andare
“oltre il Pd”, “oltre la forma partito”, verso un “fronte repubblicano”,
ragion per cui serve una “fase costituente” (una fissa, quest’ultima,
di Carlo Calenda, il Manchurian candidate del Pd, che voleva anche una
legislatura costituente in Parlamento). A nessuno sembra venire in mente
che più del nome, più della forma, è questione di sostanza politica. Ha
scritto bene Fabrizio d’Esposito: “L’oltrismo ha segnato tutto il
percorso della sinistra dal 1989 a oggi (l’Ulivo, l’Unione, il Pd)”. È
ormai più che altro un riflesso pavloviano, o forse l’ultimo spasmo
vitale prima della fine. Ma è ciò che accade nell’agonia a farci mettere
vieppiù le mani nei capelli.
Mercoledì a Montecitorio durante il
question time – lo spazio in cui i parlamentari chiedono chiarimenti
agli esponenti dell’esecutivo – il ministro dell’Interno ha fatto notare
che erano presenti quasi solo deputati dei partiti di maggioranza: “È
un curioso question time. Penso soprattutto ai banchi del Partito
democratico… Ma saremo più fortunati più avanti”. Così un parlamentare
della Lega ha chiesto a Salvini quali fossero gli impegni del governo in
tema di lotta alle mafie e lui ha potuto cavarsela con una serie di
buone intenzioni. Domanda: cari deputati del Pd, esattamente che lavoro
fate? Non dovevate fare “un’opposizione radicale, seria, determinata,
senza sconti” (sintesi di varie dichiarazioni dei dirigenti Pd
all’indomani della nascita del governo pentaleghista)?
Un ruolo
importantissimo, fondamentale nella dialettica di una democrazia
parlamentare. Ma pare che i banchi di Montecitorio non siano abbastanza
comodi o glamour. E manco quelli di Palazzo Madama. È notizia di questa
settimana che Matteo Renzi, rottamatore di se stesso e della sinistra
tutta, ha un piano B (no, non sta per Berlusconi). Sta lavorando a un
progetto televisivo con Lucio Presta (dimmi chi sono i tuoi amici), una
trasmissione di taglio culturale (sic) su Firenze con Renzi in video.
Tralasciamo l’ironia sulle ambizioni dell’ex premier: il punto vero è
che il piano A, cioè essere “senatore semplice”, evidentemente non è
ritenuto sufficientemente prestigioso. Eppure è un lavoro importante,
oltreché assai ben remunerato. Non è ben chiaro perché Renzi si sia
presentato alle elezioni, visto che vuole fare il conferenziere alla
Blair/Clinton (sic) o il divulgatore, I wanna be Alberto Angela (o più
probabilmente, Tomaso Montanari).
“Con questi dirigenti non vinceremo
mai”, diceva Nanni Moretti (ora iscritto al meno conflittuale “partito
di Fellini”) al tempo dei girotondi. Correva l’anno 2002, ere geologiche
fa, il regista ce l’aveva con Rutelli e Fassino, oggi ridotto a una
Cassandra comica che sforna auto profezie. Ci convince di più la sintesi
di Massimo Cacciari, qualche giorno fa sul nostro giornale: “Questi
fanno le comiche, sono da prendere a sculacciate. Anzi, a calci nel culo
visto che non sono più bambini”.