domenica 24 giugno 2018

Il Fatto 24.6.18
Ankara, scontro di civilità per un posto sull’autobus
Il giorno delle elezioni - Basta salire sui mezzi pubblici per cogliere la faglia che divide i laici liberali dai conservatori più devoti all’Islam
Erdogan ovunque. I cartelloni pubblicitari celebrano il presidente al potere dal 2003
di Selvaggia Lucarelli


Nella giornata di ieri sono arrivata ad Ankara per una sosta di un giorno prima di raggiungere la Cappadocia. Non ero mai stata nella Capitale turca e avevo dimenticato che qui in Turchia è periodo di elezioni, ma appena salita in taxi dall’aeroporto qualcosa di sussurrato, di impalpabile, di appena percettibile me lo ha rammentato istantaneamente. Sto parlando dell’accennata propaganda del presidente in carica Recep Tayyp Erdogan il quale, solo lungo la strada dal mio terminal all’hotel, appare col suo faccione e lo slogan “vakit türkiye vakti” su ogni palo, ponte, pilone, palazzo, fiancata d’autobus e kebabbaro si incrocino nel percorso.
I suoi competitor sbucano qua e là tipo gli adesivi di Scientology sui pali dei semafori, tipo gli annunci di babysitter e dei tizi che aiutano a svuotare le cantine (che poi non ho mai capito perché ci siano annunci specifici solo per le cantine. Svuotare un piano terra richiede un’altra specializzazione?).
Il tassista, ridacchiando, mi dice in un inglese stentato: “Ha visto quante foto di Erdogan sui muri qui in Turchia?”, io gli rispondo che lui non ha visto quante foto di Matteo Salvini ci sono sui giornali in Italia e la chiudiamo lì. Fatto sta che all’arrivo in hotel ne approfitto per leggere un po’ sul voto in Turchia e io e il mio fidanzato commentiamo qualcosa di trito su quanto questo sia il Paese delle contraddizioni, di quanto Islam e Occidente si mescolino in un calderone poco comprensibile per i turchi, figuriamoci per noi turisti. Di quanto le donne, per strada, sembrino italiane, di quanto fanatismo, censure e repressioni risultino invisibili per chi passa qualche giorno in vacanza da queste parti.
La sera andiamo in un noto ristorante della città e ci sembra di essere in un qualunque locale milanese. Dopo la sfilza di donne in burkini viste nei giorni precedenti immergersi nel Mar Morto (specialmente turiste arabe con la famiglia), appaiono nuovamente short, tacchi e minigonne. Dopo la scena sempre straniante delle donne in burqa al ristorante che mangiano alzando il velo sotto il collo e infilandosi il cibo in bocca con un gesto furtivo della mano, vediamo di nuovo tante donne mangiare in libertà.
La mattina dopo andiamo alla stazione degli autobus e acquistiamo tre biglietti per Göreme, in Cappadocia. Il tizio della compagnia ci spiega che ci sono due posti vicini e uno separato in un’altra fila. Decidiamo, ovviamente, che io siederò accanto a mio figlio e che il mio fidanzato occuperà il posto più avanti. Saliamo sull’autobus, io e il bambino ci sediamo, il mio fidanzato si siede e la giovane signora accanto a lui fa un cenno alla responsabile della compagnia che viaggia con noi. Dopo pochi secondi quest’ultima mi raggiunge e mi fa cenno di alzarmi pronunciando frasi in turco a cui io rispondo in inglese dando vita a un siparietto a tema incomunicabilità che al confronto Carlo Sibilia e Samantha Cristoforetti hanno un sacco di argomenti in comune. La tizia si irrita sempre di più, va dal mio fidanzato e fa cenno anche a lui di alzarsi. Chiediamo perché, lei a quel punto è incazzata che nemmeno Erdogan dopo il tentativo di colpo di Stato. Un ragazzo molto giovane si offre di fare da interprete in inglese e ci spiega che la ragazza che occupa il posto accanto al mio fidanzato non vuole uomini vicino. Io replico che in un viaggio di 4 ore e mezzo voglio mio figlio accanto, mio figlio replica che mi vuole accanto, il mio fidanzato mostra i biglietti numerati e spiega che ha pagato regolarmente e gli è stato assegnato quel posto, non intende rinunciarci.
Ne nasce una bagarre in almeno quattro lingue e principi diversi, in cui io dico che nessuno chiederebbe a una mamma turca di viaggiare separata da suo figlio per assecondare un qualsiasi principio religioso di un’italiana, non vedo perché si chieda a un’italiana di farlo.
Il mio fidanzato non intende cedere e chiede se esista una legge turca che gli impedisca di sedersi lì. La responsabile/bigliettaia si altera ulteriormente e mi ordina di andarmi a sedere accanto alla signora in maniera così risoluta e perentoria che per poco non solo vado dove mi dice lei, ma do pure una passata ai vetri dell’autobus col Vetril.
In tutto questo, la ragazza seduta davanti non si gira, non interviene, non esiste. Lei è l’origine del problema, ma non ha alcun ruolo attivo nella discussione e probabilmente anche nella sua vita. Noi non cediamo di un centimetro. La responsabile minaccia di chiamare la polizia e comincia a parlare al telefono.
Io penso che ho visto molte cose brutte nella vita, dall’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini sfilare in mutande a una Leopolda, ma che il carcere turco me lo risparmierei. Scorgo una signora anziana con un fazzoletto rosso in testa, seduta in un posto singolo, in fondo all’autobus. Chiedo al nostro giovane traduttore di proporle di sedersi accanto alla donna così da cedere il posto al mio fidanzato. La signora anziana ascolta la proposta e annuisce senza proferire parola. Si alza e va a sedersi dove le abbiamo chiesto.
Ed è così che in questa trascurabile bagarre in cui per dieci minuti, in un semplice autobus Ankara-Göreme, si sono scontrati Islam, Occidente, uomini, donne, leggi coraniche, culture milionarie e buonsenso, ho visto tutte le contraddizioni di questo Paese, nonché il terreno complesso su cui giocano queste elezioni: la Turchia laica e liberale contro quella religiosa e conservatrice.
La donna responsabile del bus che urla a un uomo di andare a sedersi dove dice lei altrimenti chiama la polizia e quella col velo, seduta di spalle, che non può stare seduta accanto a quell’uomo e non ha neppure la voce per dirlo.