Il Fatto 22.6.18
Il governo chiarisca: il male peggiore è l’isolamento
Niente cortine burocratiche: come per Saviano, la prima esigenza è il rigore
Il governo chiarisca: il male peggiore è l’isolamento
di Gian Carlo Caselli
Nino
Di Matteo, in un incontro organizzato da Nando dalla Chiesa, ha
rivelato fatti assai rilevanti che hanno di recente riguardato Antonio
Ingroia. L’intervento di Di Matteo è raccontato su questo giornale da
Gianni Barbacetto. In sintesi si tratta delle modalità con cui è stato
soppresso il servizio di scorta imposto ad Ingroia per anni per ragioni
di sicurezza.
Va subito detto che questi fatti non erano (per
quanto ne so) pubblici. Segno che Ingroia, nonostante la difficile
situazione, ha comunque saputo dimostrare riserbo e rispetto
istituzionali. Cosa non da poco di questi tempi, caratterizzati da
intemperanze e atteggiamenti oltranzisti e arroganti, tenuti per di più
con euforica allegria.
Tutti dovrebbero sapere, nel nostro paese,
chi è stato Ingroia. Ma siccome noi soffriamo spesso di amnesia,
conviene ricordarlo. Magistrato operante sul versante antimafia prima a
Marsala e poi per oltre vent’anni a Palermo, allievo di Borsellino e
Falcone, dopo le stragi del 1992 (il selvaggio attacco di Cosa nostra al
cuore dello Stato) Ingroia – come magistrato della Procura di Palermo –
è stato uno dei protagonisti del riscatto dello Stato. Un componente
della “squadra” che (con la collaborazione di altre forze, quelle di
polizia giudiziaria in particolare) nel rispetto assoluto delle regole
seppe fare “resistenza” al tentativo feroce della mafia di trasformare
la democrazia in poltiglia. Ha condotto numerosi importanti processi su
un’infinità di mafiosi “doc” appartenenti all’ala militare di Cosa
nostra, ma anche processi sul lato oscuro quanto nevralgico, dei
rapporti della criminalità con pezzi del potere legale. Un elenco
completo sarebbe lunghissimo, quindi impossibile in questa sede, per cui
ricordo solo alcuni casi: Bruno Contrada, Marcello dell’Utri e via via
fino al processo sulla “trattativa Stato-mafia”, di recente conclusosi
con sentenze di condanna in primo grado. Quanto basta, comunque, per
comprendere come Ingroia – per il suo lavoro – sia stimato e apprezzato
da tanti (innanzitutto quelli che come me hanno avuto l’opportunità di
lavorare con lui), ma anche odiato e osteggiato da tantissimi altri,
fino al punto di divenire spesso bersaglio di attacchi ingiusti e di
infami campagne diffamatorie.
Nella intervista del 10 agosto 1982
(rilasciata a Giorgio Bocca da Carlo Alberto dalla Chiesa, pochi giorni
prima di essere ucciso dalla mafia, il 3 settembre a Palermo), il
prefetto antimafia ebbe tra le altre cose a dire: “Credo di aver capito
la nuova regola del gioco: si uccide il potente quando avviene questa
combinazione fatale, è diventato troppo pericoloso ma si può uccidere
perché è isolato”.
Ecco, Ingroia ha lasciato la magistratura, per
cui (anche ammesso che l’appartenenza a questa categoria conferisca
davvero “potenza” e che Ingroia sia stato fra i “potenti”) ora “potente”
non lo è più. Ma in questo momento, proprio a seguito degli avvenimenti
riferiti da Di Matteo e Barbacetto, egli mi sembra – oltre che ancora
esposto a pericolo – assai isolato. L’ammonimento di Dalla Chiesa non va
quindi sottovalutato. Spero che il “governo del Cambiamento” voglia
riconsiderare con scrupolo – senza trincerarsi dietro cortine
burocratiche – la vicenda (nata nella passata legislatura), spiegando
bene all’opinione pubblica le sue scelte. La stessa esigenza di rigore
che si coglie perché sia cancellato ogni dubbio di logiche un po’ di
bottega nel caso – inopinatamente sollevato in Tv – della scorta di
Saviano.