giovedì 21 giugno 2018

Il Fatto 21.6.18
“Tracce banali. La solita pedagogia obbligatoria”
di Pietrangelo Buttafuoco


Nell’Italia dei congiuntivi sciancati ecco i temi per l’esame di Maturità scelti dall’ex ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli. Il nuovo governo, con Luigi Di Maio, zoppica d’anacoluti, di fossi e di sarebbi. Ma il vecchio che fu – con l’uscente Fedeli, digiuna di scuole alte – precipita, nella peggiore delle ipotesi, nella botola dei luoghi comune, nella migliore, invece, in quella di Google. E, infatti, ecco la pedagogia obbligatoria. Buona – al più – per Europa, il quotidiano che fu dei dem renziani.
Ed ecco il menu: Costituzione, Alcide De Gasperi, Aldo Moro e clonazione. Capitoli che sembrano ripetere il sentito dire nel pissi pissi della blogosfera mentre la traccia di letteratura – su Giorgio Bassani, Il Giardino dei Finzi Contini – resta solo per lo spunto storico, la memoria delle Leggi Razziali, ma replica quello che, ahinoi, da sempre affligge l’inutilità della scuola italiana: proporre autori le cui pagine difficilmente arrivano (o, arriveranno mai) sui banchi. Già accadde, citiamo a memoria, con Dino Campana e con Giuseppe Tomasi di Lampedusa, due grandissimi protagonisti della letteratura, neppure più contemporanei, convocati nelle tracce ministeriali per infiocchettare il disbrigo di un tema ma mai e poi mai studiati nei licei. E così accade per tutto quel patrimonio di civiltà e di segno la cui eredità, mai e poi mai, segue i percorsi della didattica. Basti pensare allo sciagurato passaggio di Mariastelluccia Gelmini in viale Trastevere – dove ha sede il ministero – quando nell’Italia del Melodramma e del Rinascimento, giusto per buttarla in teatro e in pittura, fece strame delle cattedre di educazione musicale e arte.
Farina di chissà quale splendido sacco spicca, tra le tracce di ieri, un gioiello di tema. Eccolo: “I diversi volti della solitudine nell’arte e nella letteratura”. Un percorso che da La vita solitaria di Francesco Petrarca ad Alda Merini, da Salvatore Quasimodo a Luigi Pirandello fino a Emily Dickinson, con le icone di Giovanni Fattori, Edvard Munch e Edward Hopper, offre ai ragazzi la possibilità di uno scavo interiore decisamente coerente con i loro sentimenti, i loro veri interessi e gli entusiasmi propri della giovinezza (quella dove la solitudine è oggetto di una sempre affollata messa in scena). Quella del liceo, nessuno ci fa caso, è la stagione coetanea ai Cecco Angiolieri, il Fedez di oggi, il chissà chi di domani, il poeta qualunque pronto a ruggire in ogni aula magna. Quella del liceo, tutti siamo indifferenti, è l’occasione delle occasioni per inzupparsi d’emozioni e di rabbie. E i diversi volti della solitudine sono spesso maschere.
Molto bello anche il tema sul legame fra le masse e la propaganda, “La creatività e la dote umana dell’immaginazione” e però – considerata la fatica degli eroici insegnanti – è così fuori tema rispetto a ogni tototema da far venire l’acquolina a un giornale, e non a un laboratorio scolastico. Come una scuola che non serve, ahinoi, è la scuola che solo per un giorno – anzi, la vigilia, la notte degli esami – si presenta da protagonista nella comunità. Tutto quello che poi vive di parole, segni e ricerca – quella letteratura, quell’arte e quella scienza con cui si costruisce la giornata sociale d’Italia – abita fuori dal recinto scolastico. Altrimenti non si registrerebbe la vergogna cui si destina il deficit sempre più sfacciato di tutti i saperi.
I temi, comunque. Un tema da dare – una traccia che ci permettiamo di suggerire – è “Contro la scuola”. Giovanni Papini, un altro grandissimo della nostra letteratura, ci fece un libro. Potrebbe essere domani – il prossimo anno, appunto – la proposta di esercitazione per la licenza liceale. Se ne ricaverebbe una miniera di informazioni. Scritto dai ragazzi – l’insieme degli elaborati – sarebbe il grande romanzo di un equivoco sociale e, certo, anche sentimentale. Sarebbe la pietra angolare su cui costruire – grazie ai motivi, agli spunti, alle rabbie – la vera definitiva riforma.