mercoledì 13 giugno 2018

Il Fatto 13.6.18
Non solo Aquarius, la tragedia continua è in territorio libico
di Peter Gomez


Da quasi un anno la stampa e la politica italiane fingono di non sapere cosa accade in Libia. Felici per i risultati raggiunti dall’ex ministro dell’Interno Marco Minniti che, accordandosi con Tripoli, ha fatto crollare gli sbarchi, molti osservatori ora in prima linea nelle proteste per la vicenda dei 600 migranti della nave Aquarius non dicono una parola sulle disumane condizioni dei centri di detenzione gestiti da autorità e milizie. A parte poche e lodevoli eccezioni, nessuno in Parlamento, sui social o sui giornali, si è lamentato per le donne sistematicamente stuprate nei campi; per l’abitudine di chiedere via telefono alle famiglie dei migranti detenuti soldi per far cessare le torture nei loro confronti o per i trafficanti di esseri umani promossi a membri effettivi, anche in posizioni di comando, della Guardia costiera finanziata con fondi dell’Unione europea. Tutte vicende più volte raccontate su queste pagine e che ora sono meglio e più puntualmente ricostruite da Francesco Viviano e Alessandra Ziniti nel loro bel libro Non lasciamoli soli. Nel volume, la storia degli orrori è lunga e particolareggiata: ci sono centinaia di ragazzi costretti a mangiare riso con i vermi, a bere urina quando non c’è acqua, a scavare fosse comuni. C’è l’Italia che ha delegato alla Guardia costiera libica, da noi addestrata e armata, i respingimenti dei barconi in mare spesso a colpi di mitra.
Per questo ora ci sentiamo vicini ai 600 migranti dell’Aquarius e siamo felici che i media e la politica vigilino sulle loro condizioni di salute e che si interroghino se sia il caso di tenere ancora per tre giorni in mare uomini, donne e bambini tanto sfortunati. Al tempo stesso però ci domandiamo dove erano i giornali, i politici, le televisioni e i commentatori, mentre in Libia i nuovi accordi di Minniti creavano e amplificavano questa tragedia? Se dobbiamo essere sinceri fino in fondo, dobbiamo dirci chiaramente che pur sapendo in Italia si è fatto poco o nulla. Che gli editoriali indignati si sono contati sulle dita di una mano (anche chi scrive, pur pubblicando sul sito del Fatto decine di articoli di cronaca, deve fare ammenda). Dobbiamo ricordare che quando l’Onu il 17 novembre dello scorso anno ha stigmatizzato il comportamento italiano, il vecchio governo e la vecchia maggioranza sono restati semplicemente in silenzio. Lasciando che parlassero solo le opposizioni di sinistra e qualche cinque stelle.
Così le agenzie dell’Onu sono fin qui riuscite a visitare solo 20 dei 34 centri di detenzione gestiti dal ministero dell’Interno di Tripoli, dove vengono portati i migranti respinti dalla Guardia costiera, e nulla si sa di ciò che accade in molte altre località. Certo, la situazione in Libia è quello che è. Il paese è diviso. Le difficoltà sono enormi. Noi crediamo però che se i media facessero e avessero fatto con forza il loro dovere sarebbe oggi più semplice arrivare a una soluzione coordinata a livello europeo, senza dover attendere gli esiti incerti di un braccio di ferro innescato sulla testa di 600 migranti. Nascondersi dietro il vecchio detto “occhio non vede, cuore non duole”, non è stata una grande idea. Soprattutto perché l’occhio della stampa vedeva, ma si chiudeva. Col risultato di far apparire le tante denunce di questi giorni contro la nuova e finora (fortunatamente) incruenta strategia del governo giallo-verde, non un semplice esercizio del diritto di critica, ma solo una scelta politica. Senza dubbio legittima. Ma anch’essa giocata sulla testa di migranti, lettori ed elettori.