Il Fatto 13.6.18
“Ma se salgono sulle nostri navi sono in Italia”
L’ammiraglio Vittorio Alessandro. “A norma del trattato di Dublino il nostro è il Paese di prima accoglienza”
di Stefano Caselli
“Per
cambiare le regole ci sono i tavoli diplomatici. Intervenire su
un’operazione di soccorso già avviata è assurdo e contrario a ogni
prassi”. Vittorio Alessandro, Contrammiraglio in congedo, coordinatore
nel 2011 della crisi di Lampedusa, così commenta la vicenda Aquarius.
Ammiraglio, cosa prevedono i trattati quando una nave raccoglie naufraghi?
La
prassi è universale. Esiste l’obbligo di raccogliere e portare al
sicuro, nel più breve tempo possibile, le persone. Nel caso specifico
siamo di fronte a un numero consistente di persone a bordo di
un’imbarcazione che ne poteva trasportare meno. Un evidente surplus di
rischio che richiedeva risposte rapide.
Nel caso Aquarius la rapidità non sembra essere stata prioritaria…
No.
Il problema non è dove la nave attraccherà, il problema sono i quattro
giorni di navigazione in più. Il soccorso, per caratteristiche anche
tecniche, deve ispirarsi a criteri di efficacia e prontezza. Con
l’Aquarius, invece, si è scritta una pagina nuova, illogica. Alzare il
tiro con un’operazione aperta è assurdo, in gioco c’è la vita delle
persone.
Ci sono anche questioni giuridiche? Una nave militare italiana è suolo italiano.
Sì, chi fa il trasbordo si trova su suolo italiano.
E però sarà consegnato a un altro Paese…
L’incondizionato impegno del governo spagnolo dovrebbe essere scongiurare eventuali obiezioni, semmai qualcuno ne porrà. Però…
Però?
In
base ai Trattati di Dublino qualcuno potrebbe far valere il principio
del Paese di prima accoglienza sulla base del trasbordo. Anche se non è
stato sbarcato in un porto.
Uno Stato può chiudere i porti?
No.
Non può per le merci, figuriamoci per le persone, a patto che il porto
sia in condizioni di assoluta sicurezza. Non vedo quale fosse
l’ostacolo. Non c’erano problemi di ordine pubblico né di altro genere.
C’era un problema di accoglienza, quello sì. Non stiamo parlando di un
carico di patate, ma di persone.
Eppure la Convenzione Onu parla anche di “violazione delle leggi di immigrazione vigenti nello Stato”.
Vero,
ma qui si parla di violazione di leggi, non di semplice immigrazione.
Sarebbe interessante leggere le motivazioni del decreto
interministeriale di chiusura dei porti, ma non se ne trova traccia…
Lei ha coordinato la crisi di Lampedusa del 2011. Cosa pensa quando sente dire “è finita la pacchia”?
La
pacchia semmai è di chi organizza attività illecite intorno alle
migrazioni, non certo di chi rischia la vita. Andare avanti a slogan è
inutile prima che stupido.
Non tutti – si dice – fuggono da fame e guerre…
Distinzioni
senza senso. Nel 2011 raccoglievamo naufraghi in fuga dalla Tunisia:
ragazzi senza lavoro, sostanzialmente disperati. Si dice “aiutiamoli a
casa loro”, ma prima dovremmo capire cosa sia “casa loro”. Il soccorso
in mare non è che un tampone e sicuramente non basta. E le risposte,
prima che i governi, le deve dare l’umanità.