Il Fatto 12.6.18
Le associazioni umanitarie ricordano che Pyongyang è una prigione a cielo aperto: oltre 100 mila nei lager
Quella “bagattella” dei diritti umani fantasmi al vertice
di Andrea Valdambrini
I
diritti umani sono il convitato di pietra del vertice di Singapore. Se
Trump – ansioso di chiudere un accordo storico – dovesse sollevare la
questione, l’irritazione del regime di Pyongyang sarebbe certa. Se
invece Trump non lo facesse, l’imbarazzo dell’opinione pubblica
occidentale e perfino lo sdegno, sarebbe sicuro.
Michael Kirby,
che ha presieduto la commissione d’inchiesta Onu sui diritti umani in
Corea del Nord, ha affermato: “Per gravità, portata e durata, le
indicibili atrocità commesse nel Paese rivelano uno Stato totalitario
che non ha alcun parallelo nel mondo contemporaneo”. Trump,
evidentemente, non lo ignora. Prima dell’inaspettato idillio con il
dittatore di Pyongyang, lo scorso novembre The Donald si era rivolto ai
parlamentari sudcoreani definendo il Nord “un inferno che nessuno al
mondo merita”. È ancora vivo negli Usa lo sdegno per la morte lo scorso
anno di Otto Warmbier, studente 22enne condannato ai lavori forzati per
presunte attività sovversive e rispedito a casa in stato comatoso.
Eppure, poco prima del vertice, la Casa Bianca è rimasta sul vago:
parleremo dei diritti umani? Sì, no, forse.
In uno Stato in cui il
governo ha il controllo assoluto dell’informazione, e tanto della vita
politica che soprattutto di soprattutto di quella privata, gli abusi di
potere sui cittadini vengono documentati da anni, grazie al lavoro degli
attivisti di ong internazionali e alle testimonianze di dissidenti e
sopravvissuti alle prigioni. Difficile dire esattamente quante persone
si trovino nei campi di detenzione, paragonabili a veri e propri lager,
la cui esistenza sempre negata dal regime è stata documentata in modo
incontrovertibile lo scorso anno attraverso immagini satellitari.
Il
Dipartimento di Stato Usa, nel suo ultimo rapporto, ha stimato che nei
campi di prigionia possano trovarsi fra le 80.000 e i 120.000 persone,
ma c’è chi parla addirittura di 200.000. Secondo la descrizione di molti
attivisti, chi vi è imprigionato paga reati che possono andare
dall’aver guardato un dvd sudcoreano all’aver tentato la fuga dal Paese:
in ogni caso, crimini di opinione.
Amnesty International ha
descritto la vita dei prigionieri come “dura all’inverosimile”,
dettagliando torture e violenze per gli uomini e abusi sessuali per le
donne.
Il rapporto della Commissione d’inchiesta Onu (2014)
riassumeva la situazione ricordando che le violazioni sistematiche dei
diritti umani in Nord Corea includono “omicidio, schiavitù, tortura,
imprigionamenti, stupro, aborti forzati e altre violenze sessuali”. Ce
n’è abbastanza per denunciare Kim per “crimini contro l’umanità”.
Nel
2015, in effetti, il Consiglio per i diritti umani Onu adotta una
risoluzione di condanna contro Pyongyang, autorizzando anche la
creazione di un gruppo di esperti indipendenti con l’intento di portare
il regime a risponderne davanti alla Corte penale internazionale
dell’Aja. Kim Jong-un non sembra essersene preoccupato troppo. È bastato
il rilascio di 3 detenuti con passaporto americano, a marzo, per fare
sorridere l’inquilino della Casa Bianca – e provare a cancellare la
tragedia trans-pacifica del giovane Warmbier. I nordcoreani, in fondo,
non sono che fantasmi. Per Donald, si capisce, mica solo per Kim.