lunedì 11 giugno 2018

Il Fatto 11.6.18
“Questo è un governo di selvaggi, ma il Pd doveva parlare coi 5stelle”
Il filosofo ex parlamentare del Pci: “Almeno il premier ha modi curati. Adesso i grillini rischiano di esser divorati dalla Lega”
“Questo è un governo di selvaggi, ma il Pd doveva parlare coi 5stelle”
di Antonello Caporale


Nei suoi splendidi 95 anni di vita, Aldo Masullo, filosofo, sentimentalista, studioso della morale collettiva, già parlamentare per la Sinistra indipendente al tempo in cui il Pci reclutava gli intellettuali di rango, si trova a dover giudicare il governo giallo-verde dei Cinque Stelle con la Lega. “Domenica 3 giugno ero in casa in poltrona come rintronato dalla novità. Le immagini scorrevano e il nuovo mondo si presentava. Ho provato una enorme solitudine. Mi sono sentito perso. Il mio era lo straniamento di chi non ritrova non solo i volti, e questo è naturale, ma le parole, le movenze, le virtù e persino i vizi di una compagnia alla quale in qualche modo era abituato”.
Professore, lei sebbene col mal di pancia, ha votato Partito democratico.
L’ho fatto e ancora lo rifarei per il senso che io do alla parola fedeltà. La fedeltà non è una virtù privata o pubblica oppure un gesto romantico. So bene quali siano le pecche, quanti gli errori, e il numero dei narcisi e degli sprovveduti, degli arruffapopolo che sono transitati nel Pd. La fedeltà che ho tributato al mio partito di riferimento, dal Pci a tutti i suoi eredi, rappresenta lo sforzo continuo che noi facciamo per dare una durata alle nostre idee, conservare qualcosa che è avvenuto ieri. Nel deserto generale delle idee, la stabilità ideologica rappresenta per me un porto sicuro, un piccolo punto fermo.
Altri elettori di sinistra, e se ne contano a milioni, hanno deciso diversamente da lei.
So bene. Perciò mi sarei aspettato che il Pd, invece di divenire spettatore muto, promuovesse anzi provocasse nell’immediato dopo voto un confronto con i Cinque Stelle. Io non avrei atteso la chiamata, avrei invece avanzato dei punti programmatici sui quali discutere. Forse non sarebbe accaduto nulla di strabiliante, ma avremmo acquisito una posizione dominante nel dibattito politico e non saremmo relegati al solo commento di uno scenario così lontano dalle nostre aspettative.
Ora che i giochi sono fatti e le alleanze concluse qual è la posizione che dovrebbe assumere il Pd?
Non replicare l’opposizione al primo Berlusconi, non ritenere che l’agonismo possa soppiantare la politica. Entrare nel confronto con le idee ben chiare, con proposte efficaci. Ribaltare un esito elettorale che è anche un moto di popolo non è impresa che possa essere affidata a generosi provocatori. Ha bisogno di studi, competenze e soprattutto ha bisogno di entrare nelle viscere della società. La sinistra sembra estranea, riparata nel suo pertugio che adesso si fa quasi invisibile. Quindi non spingere il tasto dell’accanimento e del pregiudizio, non incamminarsi sulla strada degli odiatori di professione. Essere sempre pronti a cogliere le contraddizioni che ci saranno, hai voglia tu se ci saranno! L’aggressività è una manifestazione di debolezza. In genere il forte riduce l’altro alla ragione grazie alla logica, alla spietata virtù del principio di realtà.
È speranzoso che ciò accada?
Io avverto che spesso si commette l’errore di ritenere la politica solo un mantello che si adagia su un corpo altrui. Così si perde di vista l’enormità della questione che ci tocca affrontare col nuovo mondo.
Ricordo bene, lei li illustra spesso i tre problemi capitali.
A) la globalizzazione; b) la finanziarizzazione dell’economia; c) la tecnologia. Questi sono i tre nuovi poteri con cui bisogna fare i conti. Invece, e qui avanzo una parola di compatimento, vedo i politici, anche questi che hanno vinto, che vanno al combattimento senza accorgersi che sono morti (ps. dovrebbero leggere l’Orlando secondo me).
La politica è sempre sopraffatta dalla realtà.
Appare sempre debole, incapace, incompetente.
E questo governo? Chi lo chiama dei barbari, chi lo vede fascistizzante, chi populista, chi sovranista.
Ha qualche elemento selvaggio, anche se il premier possiede modi curati e un linguaggio piano che credo piaccia a chi ha bisogno di intendere parole semplici.
Tullio De Mauro, il grande linguista, ricordava sempre che più di un terzo degli italiani comprende solo messaggi lineari, legge e capisce periodi semplici dove il sostantivo dev’essere accompagnato dal verbo e dal complemento oggetto. Ogni incidentale è vietata perché rende intelligibile la frase.
Ecco, questo siamo.
E a quelli che chiama selvaggi cosa consiglia?
Ai Cinque Stelle dico che devono fare più attenzione a ritenere come un fatturato democratico il clic sul computer. L’opinione pubblica, anche la loro, non matura attraverso un continuo referendum del sì e del no. La loro gente avanzerà nella coscienza e anche nella proposta attraverso la discussione. Devono sapere, se non lo sanno, che l’opinione pubblica si forma nel dibattito continuo.
A quali rischi va incontro il movimento di Grillo?
Di essere divorato dalla Lega. In politica come in natura può capitare che un serpente ne divori un altro. I Cinque Stelle raccolgono una massa più numerosa di voti, ma sono voti disomogenei dove vasti bacini di dolore sociale si uniscono, formando questo esercito della salvezza, a presenze a volte capricciose di oppositori per partito preso, e piccoli e mobili aggregati clientelari.
La Lega ha una fanteria meglio armata.
Sì, nel linguaggio bellico i Cinque Stelle fanno la figura delle reclute e i leghisti quella di una cavalleria compatta. Il blocco geografico è sperimentato, socialmente omogeneo e anche culturalmente affine, per lifestyle, ai dirigenti del movimento.
Serpente mangia serpente.
Sì. Anche perché la Lega ha la chance di riserva: se butta all’aria il tavolo si rifugia nella casa del Padre, il noto centrodestra servente. Un blocco di interessi che non si sfalda neanche se declina la figura del suo leader storico, Silvio Berlusconi.
E i grillini dove vanno?
Ecco, non hanno dove andare. Questa prova di governo è la prima e rischierebbe di divenire l’ultima se la realtà dovesse negare il tempo che serve alla speranza di trasformarsi in un atto, cioè in un fatto buono.