Corriere a Lettura 24.6.18
Secoli di umori contraddittori: la devozione e l’ira dei crociati, il riso dei popolani, la tristezza del re
Cattedrali di paura (e di vergogna): il Medioevo emotivo
di Amedeo Feniello
Emozione.
Forse una delle parole più belle del nostro vocabolario. Infinita nelle
sue sfumature. Nelle impressioni che può animare. Invade la nostra
esistenza. La ravviva e la vivacizza. Ma cosa resta di essa, quando la
vita termina e del vissuto non resta più niente, neanche la memoria? È
questa la domanda che come un filo rosso ispira il libro di Damien
Boquet e Piroska Nagy Medioevo sensibile (Carocci). Un libro non fatto
«di gerarchie, ritmi di produzione o tassi d’imposta» o espressione di
una storia sociale fredda e rigida. Ma, invece, costruito sull’empatia,
su «desideri e fremiti, fiati sospesi e sospiri senza fine». Un libro
cioè diverso, ricco di umanità, ma assai difficile da scrivere. Che ha
richiesto un peculiare acume filologico. Con uno sforzo ambizioso,
perché «le società umane rimangono impenetrabili all’osservatore che non
si sforzi di auscultarne le palpitazioni emozionali, dalle più
spettacolari alle più sottili».
Il Medioevo è forse l’ambito
emotivo più bello da descrivere. Forse il più spettacolare.
L’immaginario stesso ci spinge verso la sua irrazionalità. Con il
contrasto frequente tra atteggiamenti divergenti, tra pianto e ira,
spirito e carne, santità e sangue. Ma è vero che nel Medioevo le
emozioni sono ovunque. Chiare. Aperte. Manifestate in maniera limpida e
netta. I re e i signori si disperano. I crociati massacrano e si
commuovono allo stesso tempo. I toni di sconforto e costernazione sono
profondi, esasperati e non tenuti al laccio. Le passioni altrettanto. I
romanzi cortesi sono una selva di stati d’animo, di pulsioni, espresse
con codici e topoi tanto dissonanti dai nostri canoni moderni. Il riso e
lo scherno, la disgrazia e l’abbattimento animano invece l’agire
politico e alimentano gli squilibri sociali. L’ira è dappertutto.
Incontrollata: per un affronto, uno sgarro, una vendetta, una
rappresaglia. Come è dappertutto la vergogna, temuta più del dolore
fisico — e, per la Chiesa, nulla poteva liberare dal peccato quanto la
vergogna, vissuta in modo autentico se non addirittura mostrata in
pubblico. Dove la strada della penitenza non passava soltanto
«attraverso la riparazione della colpa ma esigeva l’espressione sincera,
patetica, della sofferenza morale e del pentimento». Infine, dominava
su tutto l’altra grande emozione. La paura. Che, con l’angoscia, aleggia
dappertutto. Nel quotidiano, tante volte insopportabile, disseminato di
fame, malattia e morte. Come nell’idea di un destino eterno di
dannazione e supplizio.
Ma le emozioni sono anche frutto di
modifiche sociali, di mutamenti, di trasformazioni che coincidono con le
grandi rivoluzioni che il Medioevo esprime con pienezza. E in questo
volume la carrellata si dispone sul lungo periodo, con svolte emozionali
che marcano tempi e periodi. Si parte dalla grande trasformazione del
patrimonio emotivo nell’età della cristianizzazione, tra IV e VI secolo,
con la codifica di una vera teologia delle emozioni. E, da qui, via via
ci si inerpica tra i secoli centrali del Medioevo, esplorando ambienti
diversi (il monastero, la corte franca, la dimensione della nuova realtà
delle lacerazioni post-carolingie) fino a giungere al grande momento
feudale, dei valori aristocratici, della donna signora e domina, della
cortesia, della cavalleria. Con ritratti che emergono per la loro
incisività, come quello del re di Francia Luigi IX il Santo, descritto
alla fine della crociata del 1254 in un atteggiamento emotivo a metà fra
la depressione e il declino psicologico, lui sconfitto e inconsolabile
per lo scacco subito e «nulla lo distoglieva dal fissare gli occhi a
terra con profonda tristezza, e dal pensare — fra profondi sospiri — che
la sua prigionia aveva cagionato la generale confusione della
Cristianità».
Una storia, quella che propongono gli autori, «ad
altezza d’uomo, dell’essere umano nella sua interezza e delle
singolarità condivise». Che ci spinge a riconsiderare l’uomo medievale,
non più «gigante dalla testa di bimbo», secondo le suggestive parole
dello storico Huizinga, ossia sedotto e condizionato da una perenne
bipolarità tra emozioni discordanti; ma figlio di un contesto che si
sagoma nel tempo, fino alla costruzione di enormi cattedrali di emozioni
che caratterizzarono, definendola, un’intera società.