Corriere 5.6.18
Lettera sulla scuola
Cattedre più alte per i prof
di Ernesto Galli della Loggia
Gentile signor ministro dell’Istruzione,
immagino
la quantità di pratiche, di dossier, di circolari, ognuna con relative
decisioni importanti da prendere, che appena messo piede a viale
Trastevere avrà trovato sulla sua scrivania. Ma non è per aggiungere
altri impegni a quelli gravosi che lei già ha che le vorrei proporre di
adottare subito alcune misure — peraltro assai semplici — adottabili
quindi con estrema facilità. È solo perché esse darebbero subito l’idea,
mi sembra, che qualcosa sta veramente per cambiare nella scuola
italiana. Solo l’idea naturalmente, ma di sicuro assai importante, circa
la direzione verso cui non solo a mio giudizio, mi illudo di credere,
la scuola italiana deve andare. Ecco dunque in breve le dieci misure che
le propongo di prendere a cominciare già dal prossimo settembre:
1)
Reintroduzione in ogni aula scolastica della predella, in modo che la
cattedra dove siede l’insegnante sia di poche decine di centimetri sopra
il livello al quale siedono gli alunni. Ciò avrebbe il significato di
indicare con la limpida chiarezza del simbolo che il rapporto pedagogico
— ha scritto Hannah Arendt, non propriamente una filosofa gentiliana,
come lei sa — non può essere costruito che su una differenza strutturale
e non può implicare alcuna forma di eguaglianza tra docente e allievo.
La sede propria della democrazia non sono le aule scolastiche .
a ncora:
2)
Sempre a questo principio deve ispirarsi la reintroduzione dell’obbligo
per ogni classe di ogni ordine e grado di alzarsi in piedi in segno di
rispetto (e di buona educazione) all’ingresso nell’aula del docente.
3)
Divieto deciso nei confronti di tutte le «occupazioni» più o meno
simboliche e delle relative autogestioni che ormai si celebrano da
decenni come un tempo la «festa degli alberi». Per la semplicissima
ragione che esse non servono a nulla se non, assai banalmente, a non
studiare. Bisogna cominciare a dire le cose come stanno.
4)
Cancellazione di ogni misura legislativa o regolamentare che preveda un
qualunque ruolo delle famiglie o di loro rappresentanze nell’istituzione
scolastica. Dal momento che non ci sono rappresentanti dei pazienti
nelle strutture ospedaliere, né degli automobilisti negli Uffici della
motorizzazione, né dei contribuenti nell’Agenzia delle Entrate, non si
vede perché debba fare eccezione la scuola. Si chiama demagogia: meglio
farne a meno.
5) Divieto di convocare gli insegnanti ad assemblee,
riunioni, commissioni e consigli di qualunque tipo per più di tre o al
massimo quattro volte al mese. La scuola non deve essere un
riunionificio.
6) Sull’esempio del Giappone, affidamento della
pulizia interna e del decoro esterno degli edifici scolastici agli
studenti della scuola stessa. I quali potrebbero provvedere un’ora prima
dell’inizio delle lezioni alternandosi a gruppi ogni dieci giorni.
Oltre al piccolo ma non proprio indifferente risparmio economico,
sarebbe un mezzo utilissimo per instillare negli studenti stessi il
sentimento di appartenenza alla propria scuola e per insegnare alle
giovani generazioni il rispetto delle proprietà pubbliche e gli obblighi
della convivenza civile (non s’imbrattano i muri!). In fondo,
l’alternanza scuola-lavoro non sarebbe meglio iniziarla proprio nella
scuola?
7) Per superiori ragioni di igiene antropologico-culturale
divieto assoluto agli studenti (pena il sequestro) di portare non solo
in classe ma pure all’interno della scuola lo smartphone. Possibilmente
accompagnato dalla proposta di legge di vietarne comunque la vendita o
l’uso ai minori di 14 anni (divieto che evidentemente non vale per i
semplici cellulari).
8) Obbligo per tutti gli istituti scolastici
di organizzare e tenere aperta ogni giorno per l’intero pomeriggio una
biblioteca e cineteca con regolari cicli di proiezioni, utilizzando, se
necessario, anche studenti di buona volontà. L’adempimento di tale
obbligo deve rientrare tra gli elementi basilari di valutazione della
qualità degli istituti stessi. Ai fondi necessari si può provvedere
almeno parzialmente dimezzando l’assegnazione di 500 euro agli
insegnanti che utilizzano tale somma non per acquistare libri. Il motto
della scuola diventi : «Il buon ci nema e la lettura della pagina
scritta innanzi tutto!».
9) Alle gite scolastiche sia fatto
obbligo di scegliere come meta solo località italiane. Che senso ha per
un giovane italiano conoscere Berlino o Barcellona e non aver mai messo
piede a Lucca o a Matera? L’Europa comincia a casa propria.
10)
Istituti e «plessi scolastici» devono essere intitolati al nome di una
personalità illustre e devono essere designati in tutte le circostanze e
in tutti i documenti con tale nome, non già (come avviene oggi più di
una volta) con un semplice numero o l’indicazione di una via. In fin dei
conti anche ai più giovani forse non dispiace avere un passato.
Gentile
signor ministro, lei si trova oggi alla testa di un dicastero
importante nel quadro di un governo che ama definirsi del «cambiamento»;
che da quando ha cominciato a vedere la luce non ha fatto altro che
ripetere questa parola: cambiamento! E allora coraggio, cambi! Cambi
subito almeno qualche piccola cosa: che poi, dia retta, piccola non
sarebbe proprio per nulla.