Corriere 30.6.18
Sondaggio Forza Italia all’8,3%, Pd al 18,9%
La Lega supera il 31 per cento e toglie voti ai 5S
Forza Italia scende all’8,3%, dimezzata la Meloni
di Nando Pagnoncelli
La
Lega «prosciuga» gli alleati di centrodestra e vola sopra al 31%,
togliendo voti anche ai 5 Stelle. Non era mai capitato che, a soli
quattro mesi dalle elezioni, si manifestasse una mobilità elettorale
tale da far quasi raddoppiare i consensi di una forza politica che dalle
urne era uscita terza. Forza Italia scende all’8,3%, dimezzata la
Meloni, il Pd al 18,9%.
Non era mai capitato che a meno di quattro
mesi di distanza dalle elezioni si manifestasse una mobilità elettorale
tale da far quasi raddoppiare i consensi per una forza politica che è
uscita al terzo posto dalle urne ed oggi è prima. Negli ultimo 30 anni
tuttalpiù si era verificato il classico bandwagon, più o meno intenso. E
negli anni precedenti il voto era una sorta di «atto di fede» e il
consenso per i partiti si modificava di poco. Il sondaggio odierno fa
registrare un ulteriore avanzamento della Lega di Salvini che consolida
il primato attestandosi al 31,2% delle preferenze, seguita dal M5S,
sostanzialmente stabile al 29,8%, dal Pd con il 18,9% (+0,3%) e Forza
Italia che fa segnare un ulteriore lieve arretramento fermandosi
all’8,3%.
Niente di eclatante rispetto alla rilevazione di due
settimane fa: infatti, con l’eccezione della Lega (+1,1%), i singoli
partiti fanno segnare variazioni di qualche decimale. Ma se confrontiamo
le intenzioni di voto con i risultati elettorali del 4 marzo emergono
cambiamenti importanti, oltre alla già citata imponente crescita della
Lega: innanzitutto l’aumento dell’area dell’indecisione e
dell’astensione, composta da elettori delusi, che aumenta del 5,5%; in
secondo luogo la flessione di 2,9% del M5s, trionfatore alle elezioni, e
quella ancor più significativa di Forza Italia, che perde 5,7%, di
Fratelli d’Italia che si è quasi dimezzata, passando dal 4,3% al 2,3%,
di Liberi e uguali che perde un terzo dell’elettorato (da 3,4% a 2,3%) e
di Noi con l’Italia scesa dall’1,3% allo 0,4%. Al contrario Pd e Più
Europa aumentano di 0,2%, mantenendosi sostanzialmente sui valori
ottenuti alle politiche.
L’analisi dei flussi elettorali evidenzia
l’elevata fedeltà dell’elettorato leghista (91% conferma il proprio
voto) e la forte capacità di attrazione di nuovi elettori: quasi la metà
di coloro che oggi voterebbero per il partito di Salvini provengono da
altri partiti, in particolare per il 23% dagli (ex?) alleati di
centrodestra (18% da FI e 5% dagli altri), il 10% dagli alleati di
governo e il 9% da elettori che alle politiche avevano disertato le urne
ma oggi ritornerebbero a votare scegliendo la Lega.
Tre elettori
pentastellati su quattro confermerebbero il proprio voto al Movimento, i
delusi propendono per l’astensione (13%) e la Lega (9%), ma non per il
Pd (1%) e i voti in ingresso provengono prevalentemente dal
centrodestra, mentre sembra essersi arrestata la capacità di attrarre
consenso da sinistra e dall’astensione. La tenuta del Pd dipende dalla
elevata fedeltà di voto (80%), e da una compensazione tra uscite
(prevalentemente verso l’astensione: 13%) e nuovi ingressi, soprattutto
da centrosinistra e sinistra, mentre il rientro dal M5s è marginale.
Infine, meno di un elettore su due di FI (48%) continua a votare per il
partito di Berlusconi, un terzo abbondante sceglie la Lega e il 10% si
astiene.
La Lega consolida il proprio consenso presso tutti quei
segmenti sociali che l’hanno scelta il 4 marzo e aumenta in modo
particolare tra i ceti più popolari, le persone meno istruite,
casalinghe, pensionati e disoccupati e tra i cattolici che partecipano
saltuariamente alle funzioni religiose. Il M5S flette prevalentemente
tra gli elettori meno giovani (presso i quali era già più debole), nella
classe direttiva, tra i lavoratori autonomi, gli studenti, i pensionati
e tra i cattolici con frequenza settimanale alla messa.
Insomma, è
il momento della Lega e la sua forza dipende soprattutto dalla
sostanziale continuità nella strategia comunicativa di Salvini rispetto
alla campagna elettorale, una strategia basata su un’accurata scelta di
temi sensibili (i migranti, le responsabilità dell’Europa, la legittima
difesa, la rottamazione delle cartelle esattoriali, l’uso del contante,
ecc.), su toni aggressivi (peraltro due italiani su tre ritengono che
sia giusto che i politici utilizzino un linguaggio crudo e brutale per
dire le cose senza tanti giri di parole) nei confronti di avversari
politici, esponenti delle istituzioni nazionali ed europee (il
presidente Macron su tutti), personaggi pubblici (da Balotelli a
Saviano), sull’incessante appello a «ciò che vogliono gli italiani». Il
leader leghista pur occupando un’importante carica istituzionale, si è
dunque sottratto al processo di istituzionalizzazione, non a caso
continua a esibire accuratamente sulla giacca il simbolo di partito e
sarà protagonista del tradizionale raduno di Pontida di domani con al
centro lo slogan «il buonsenso al governo».
È una strategia che si
può permettere grazie alla complementarietà che rappresenta il tratto
distintivo del governo: complementarietà degli elettorati della
maggioranza, dei temi previsti nel contratto, della personalità e dello
stile comunicativo di Conte, Di Maio e Salvini, cioè di una sorta di
tridente, per usare una metafora calcistica, che garantisce una grande
popolarità all’esecutivo. È un gioco di equilibri: la ricchezza delle
diversità può consentire al governo di mantenere un consenso duraturo
oppure di minare la coesione e veder precipitare il sostegno. Non è una
situazione inedita: il primo governo Berlusconi nel 1994 riuscì a
mettere insieme la destra di Fini e la Lega Nord di Bossi. Non durò
molto, ma oggi il contesto è molto diverso e appare difficile prevedere
se per il governo Conte prevarrà l’affermazione di Tucidide («la storia
si ripete») o quella di Vilfredo Pareto («la storia non si ripete mai»).