Corriere 29.6.18
il reportage a due giorni dal voto
Tra bagni di folla e miracoli il Messico aspetta «Amlo», populista che non molla mai
dall’inviata a Città del Messico Alessandra Coppola
Sondaggi bulgari per López Obrador. E timori di un nuovo Chávez
L’ultimo
tratto di campagna elettorale è sul prato dello stadio Azteca di Città
del Messico, un boato di novantamila persone, coriandoli, fuochi,
musica, bandiere, mani che si allungano per toccarlo, donne che lo
baciano, bambini che si fanno benedire, autografi, pupazzi, selfie, le
cover dei cellulari con il gioco di parole «Amlove»: l’amore per Andrés
Manuel López Obrador. Gli occhi lucidi, sale sul palco e s’abbraccia
come per abbracciare la folla intera.
«Vinceremo le elezioni di
domenica», lo dice lui, lo indicano tutti i sondaggi, compresi i più
sfavorevoli, e a questo punto lo sperano anche i detrattori. Perché il
candidato «anti-sistema», ormai 64enne, alla terza battaglia per la
presidenza messicana ha sollevato così tanta emozione che una sconfitta
porterebbe a una rivolta popolare. Una petizione di artisti, tra cui i
registi Alejandro Iñárritu e Guillermo del Toro, ha raccolto firme sotto
l’appello «El día después», invocando una reazione pacifica «il giorno
dopo» il voto, chiunque vinca.
«Andrés Manuel farà qualcosa per i
poveri», è convinta Marta, 61 anni, di Iztapalapa; «Lui è diverso,
penserà a gente come me, che sono madre sola», spera Ana Cristina, 27
anni, arrivata dal Guerrero per celebrarlo nello stadio della festa
finale; «È l’unica opzione possibile, l’unico che non sia mai stato
toccato da un’accusa di corruzione», dichiarano Simon, Natanael e
Xavier, studenti all’Università della capitale.
Edgar, autista di
Uber, però, voterà domenica per chiunque «tranne che per lui»:
«Rischiamo di diventare come il Venezuela, Amlo è uguale a Chávez», il
defunto caudillo di Caracas, estremo del populismo latinoamericano.
È
il principale argomento dei suoi grandi oppositori, il conservatore Pan
(bizzarramente alleato con la sinistra in questa tornata) e lo storico
partito al potere Pri, che si sono alternati alla guida del Messico
negli ultimi due mandati. Il discorso pubblico di López Obrador ne tiene
conto: «Non diventeremo una dittatura — sente la necessità di
sottolineare — ci sarà spazio per ogni dissenso».
Arturo Rodríguez,
che segue da anni il candidato per l’autorevole rivista di analisi
politica Proceso, ha preso nota di passaggi sostanziali studiati (dalla
coordinatrice della campagna, Tatiana Clouthier, figlia di uno storico
esponente del Pan) per tranquillizzare. «Ha alleggerito le sue posizioni
sulla riforma energetica, per esempio», spiega al Corriere Rodríguez.
L’attuale presidente Peña Nieto ha aperto agli investimenti privati (con
corollario di mazzette) nel settore del petrolio e dell’elettricità,
provocando un aumento del costo dei combustibili estremamente
impopolare. «Se prima Andrés Manuel parlava di invertire la riforma
adesso dice che rivedrà i contratti».
Non sono sfumature. Benché
parli di rafforzare le imprese autoctone e puntare sull’autosufficienza
agricola, nella squadra di governo ha chiamato figure di specchiata fede
liberista; rappresentanti delle grandi famiglie che tradizionalmente
gestiscono il Paese; uomini (ma anche donne) che erano una volta nel Pri
o nel Pan e garantiscono una transizione morbida. Allo scomodo vicino
settentrionale, il presidente Usa Donald Trump (non così dissimile, in
fondo), propone di trasformare il morente Nafta, il Trattato di libero
scambio del Nord America, in un’intesa più ampia, dal Canada ai Paesi
del centro, dal commercio allo sviluppo sociale. «Non farà una
rivoluzione — è l’analisi di Rodríguez — Amlo rappresenta semplicemente
una riorganizzazione del potere in Messico».
Con un nuovo forte
accento populista, certo, ma anche un’insolita capacità di parlare ai
più umili come alle banche. Figlio dello Stato povero e indio del
Tabasco, in politica da quarant’anni nell’ala sinistra del Pri che poi
si è scissa, «el licenciado», come si direbbe a un parente che si è
laureato, «il dottore», ha presa tra la gente perché non ha mai fatto il
burocrate, raccontano, sempre con le maniche di camicia arrotolate ai
presidi contro lo sfruttamento della terra, alle marce indigene, ai
sit-in. La biografia si confonde ormai con la leggenda. Ai comizi
portano le ceneri dei defunti perché lo assistano, i paraplegici perché
imponga le mani. Il presidente taumaturgo, che curerà la povertà, una
violenza da 89 morti al giorno, il Paese intero, combattendo la
corruzione, raddoppiando le pensioni minime, tagliando le spese di
rappresentanza, distribuendo aiuti sociali. Con quali risorse è ancora
tutto da vedere.