mercoledì 27 giugno 2018

Corriere 27.6.18
Non  si  può   chiudere gli  occhi  sugli  orrori delle  torture  in  Libia
di Maurizio Caprara


Il ministro dell’Interno della Repubblica italiana, vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini, ha definito «menzogne» quelle «di chi dice che in Libia si tortura e si ledono i diritti civili». Sono parole in conflitto con una realtà denunciata da numerose fonti. E non si addicono a chi rappresenta il Paese di Cesare Beccaria, maestro (milanese) di civiltà nel XVIII secolo.
Un disabile libico legato al soffitto con catene, percosso fino a fargli perdere conoscenza nel carcere di Mitiga. Uno straniero sospeso a un gancio in una posizione detta «del pollo arrosto» e picchiato con badile. A Nasser Forest un uomo appeso per le gambe, sottoposto a scosse, privato di cibo fino a impedirgli di camminare da solo. Sono alcuni dei casi descritti in un rapporto pubblicato in aprile dall’Ufficio dell’Alto commissario delle Nazioni Unite sui diritti umani e dalla Missione Onu di appoggio in Libia.
Tra una dichiarazione e l’altra il ministro trovi il tempo di leggerlo. Soltanto 41 pagine, in inglese. Si intitola Abuso dietro le sbarre: detenzione arbitraria e illegale in Libia. Un dipendente governativo arrestato senza imputazione nel 2011, e rilasciato nel 2016, ha affermato che le guardie «lo hanno violentato, frustato finché ha perso conoscenza, sospeso a testa in giù per ore e bruciato con un ferro rovente anche su schiena e genitali». Risparmiamo il resto. È ancora più ripugnante.
Nel 2017 si stimavano in 6.500 le persone detenute nelle prigioni ufficiali. Altre migliaia nelle mani di milizie. Il rapporto giudica l’uso della tortura usuale. Riferisce di confessioni fatte recitare ai prigionieri in tv esponendo a vendette le famiglie.
Al precario embrione di governo che ha base a Tripoli non va negato appoggio. Ma sono orrori sui quali è un dovere non chiudere gli occhi. Né tacere.