Corriere 27.6.18
La ripresa non ferma la povertà
Le famiglie in indigenza assoluta nel 2017 salite fino a 1,8 milioni
di Dario Di Vico
Il dibattito sul reddito di cittadinanza e chi potrà beneficiarne
La
notizia è sintetizzabile così: nonostante dal 2015 l’economia sia
ripartita a un ritmo discreto la povertà assoluta in Italia nel 2017 è
aumentata rispetto all’anno precedente. Lo dicono i dati dell’Istat che
servono a fare chiarezza su un tema che, dopo anni di grave
dimenticanza, gode ora di un’assoluta centralità nel dibattito politico.
La prima riflessione da fare, dunque, è che i vantaggi della ripresa —
come si dice in gergo — “non si scaricano a terra” ovvero non danno
frutti tangibili a favore della fascia bassa della società. Infatti
vivono in una condizione di povertà assoluta circa 1,8 milioni di
famiglie che corrispondono a più di 5 milioni di persone. Nel giro di
soli dodici mesi il peggioramento è stato sensibile: era indigente il
6,3% delle famiglie e oggi siamo saliti al 6,9%, gli individui poveri
assoluti erano il 7,9% della popolazione e a fine ‘17 siamo arrivati
all’8,4%. Parte di questo incremento è puramente tecnico-statistico,
legato al computo dell’inflazione (due decimali) ma colpisce che tutto
ciò avvenga in una fase di ripresa e non di recessione e che, come
annota l’Istat, entrambi i valori siano i più alti dal 2005, inizio
delle serie storiche. La crescita del Pil, quindi, non riesce a mitigare
le disuguaglianze ed è una novità non da poco perché in passato
comunque le ripartenze avevano prodotto effetti positivi anche in basso.
Per
avere qualche riferimento concreto sui valori delle soglie di povertà è
utile ricordare che vengono calcolate sulla spesa per consumi di una
famiglia. Ad esempio, per un adulto (di 18-59 anni) che vive solo, la
soglia di povertà è pari a 826,73 euro mensili se risiede in un’area
metropolitana del Nord, a 742,18 euro se vive in un piccolo Comune
settentrionale, a 560,82 euro se risiede in un piccolo Comune del
Mezzogiorno. Tra gli individui in povertà assoluta si stima che le donne
siano 2,5 milioni (incidenza pari all’8,0%), i minorenni 1,2 milioni
(12,1%), i giovani di 18-34 anni 1,1 milioni (10,4%, valore più elevato
dal 2005) e gli anziani 611 mila (4,6%).
Nella mole di dati
prodotti dall’Istat si possono pescare molti dettagli interessanti: ad
esempio come la condizione professionale di operaio si abbini per
l’11,8% a quella di povero (è il fenomeno dei cosiddetti working poor),
mentre il valore massimo di indigenza si registra nelle famiglie in cui
il capo è in cerca di occupazione (26,7%) e resta invece al di sotto
della media tra le famiglie di pensionati (4,2%). Quanto all’incidenza
territoriale rispetto al 2016, le famiglie residenti nelle periferie
delle aree metropolitane e nei grandi Comuni del Nord hanno visto
peggiorare la propria condizione, con un’incidenza di povertà assoluta
che si porta a quota 5,7% da 4,2% del 2016. Nel Mezzogiorno, invece,
l’incidenza della povertà assoluta cresce verticalmente nei centri delle
aree metropolitane (da 5,8% del 2016 a 10,1%) e nei Comuni fino a 50
mila abitanti (da 7,8% al 9,8%).
Dai dati alle scelte politiche
dei nostri giorni il passo stavolta sembra breve. Domina la scena la
proposta del reddito di cittadinanza avanzata in campagna elettorale dal
Movimento 5 Stelle e oggi parte integrante del programma del governo
Conte. In una prima fase il ministro Luigi Di Maio aveva indicato il
rifinanziamento dei Centri per l’impiego come condizione indispensabile
per implementare il nuovo provvedimento, ieri però è intervenuto per
ribadire che il reddito di cittadinanza deve partire già dal 2018. Al di
là della tempistica restano poco chiari la platea interessata e le
coperture finanziarie assieme a un equivoco di fondo che è ricorrente.
Il reddito che ha in mente Di Maio è una misura contro la povertà o
contro la disoccupazione? È vero che le due figure sociali in parte
coincidono, ma solo in parte. Se si dovesse optare per considerarlo una
misura anti-indigenza si potrebbe lavorare sull’impianto del Rei, il
reddito di inclusione varato dal governo Gentiloni, e potenziarlo.
Nell’altro caso le soluzioni sono tutte da inventare e lo stesso
ministro nei giorni scorsi aveva ventilato l’ipotesi di ripescare la
formula del lavoro socialmente utile.