venerdì 22 giugno 2018

Corriere 22.6.18
L’egemonia del populismo opportunità per i riformisti
di Goffredo Buccini


Per paradossale che appaia, la sinistra riformista dovrebbe vivere come una grande opportunità di rigenerazione questa caotica stagione segnata dall’egemonia di Matteo Salvini.
Se allineassimo i problemi nazionali su un foglio, come una lista della spesa, il bellicoso ministro leghista avrebbe la funzione di gigantesco evidenziatore di quelli ora più radicati nel senso comune popolare. E non perché, come la sinistra sostiene, crei lui stesso quel senso comune (non solo, almeno) ma perché lo interpreta per ciò che è, un grido di dolore generato da disagi reali, senza addomesticarlo con le lenti della correttezza politica, a lui ignota.
L’uso improprio della questione rom e i relativi eccessi lessicali hanno l’orrendo sapore della ricerca di un capro espiatorio, peraltro a scapito di un gruppo etnico finito nei lager assieme a ebrei e comunisti. Ma pongono un tema che esiste, eccome. Non solo per l’abbandono scolastico dei bimbi rom, arrivato all’80 per cento nei campi. Ma per i roghi tossici che da quei campi si levano nelle periferie di Roma, Napoli, Torino e Milano, con pregiudizio per la salute degli abitanti delle zone vicine e dei minori rom usati per accendere i roghi perché non perseguibili (dopo l’incendio di Torre Spaccata nel 2017 i valori della diossina rimasero per due giorni di 20 volte superiori alla soglia fissata dall’Organizzazione mondiale della sanità). Non il KKK ma la Commissione Jo Cox, voluta la scorsa legislatura da Laura Boldrini, ci ricorda che il 41 per cento dei minori che vivono in baraccopoli a Milano non è mai stato visitato da un medico e che il 75 per cento di chi abita nei campi «informali» non ha tessera sanitaria: censimento è parola oscena ma un’occhiatina là dentro saprebbe di riformismo più che di razzismo.
Non siamo sottoposti a un’invasione di migranti, lo ammetta Salvini. Ma la percezione della gente comune sta in un esempio a tre cifre. La prima è nota: Roma ha circa 3 milioni di abitanti. Le altre due vengono dalla Commissione parlamentare sulle periferie: gli stranieri regolari a Roma e hinterland sono 360 mila (dunque diremmo che il rapporto romani/stranieri sia circa di 10 a 1); ma i romani che vivono in zone di disagio economico sono 950 mila. Domanda (retorica): in quali zone immaginiamo che vivano quei 360 mila stranieri? Conseguenza: è plausibile che il vero rapporto tra romani e stranieri (regolari) sia nelle zone di disagio tre a uno, senza aggiungere al conto gli stranieri irregolari. Questo spiega perché a Roma il Pd abbia stabilito le sue roccaforti in centro storico e ai Parioli.
Sono 500 mila i migranti «smarriti» negli ultimi anni dal circuito dell’accoglienza. Il punto sfuggito alla sinistra nell’intreccio tra crisi economica e picco delle migrazioni (2014-2017) è questo. Ma basta affacciarsi in una periferia geografica o sociale per capirlo: sia la Bolognina o la Domiziana, siano i Caruggi o i sobborghi di Macerata.
Salvini può essere utile a una sinistra che voglia tornare a competere, non scimmiottandolo ma superandolo, perché le impone di coniugare solidarietà con sicurezza (ciò che lui non fa e non saprebbe fare). È stato questo il breve tentativo di Marco Minniti, assai criticato dalla sua stessa parte politica. Per cattiva coscienza sulla sicurezza il Pd ha ritirato anche la sola proposta forte che aveva costruito sulla solidarietà, lo ius soli (meglio se declinato in ius culturae). Ma qui non si tratta di sottrarre, si tratta di aggiungere.
Una plausibile proposta riformista dovrebbe tenere insieme magari i Cie (o come vogliamo chiamare luoghi sicuri e umani dove contenere i fantasmi che vagano nelle nostre città finché non avranno identità e destinazione) e lo ius soli o lo ius culturae; il taglio drastico dei tempi di decisione sulle domande d’asilo e i canali economici e diplomatici per nuovi accordi bilaterali che consentano i rimpatri; Sprar obbligatori (oggi solo un Comune su quattro vi aderisce) e programmi di investimento nelle periferie da un miliardo l’anno per dieci anni (come indicato dalla Commissione parlamentare), con una tassazione locale ad hoc (altro che condono) e una agenzia nazionale che coordini gli interventi.
Occorre chiudere i campi rom. E la sinistra dovrebbe proporre qualcosa di meglio di una ruspa, smetterla di strillare all’Uomo nero e vergare una proposta seria che comprenda abitazioni, lavoro ma anche revoca della patria potestà per chi sfrutta i bambini ed espulsioni per chi non ha diritto di stare qui.
È possibile che Salvini usi migranti e rom come armi (gratuite) di distrazione di massa di fronte a promesse elettorali in gran parte irrealizzabili. E questo sarà un punto su cui varrà la pena insistere soprattutto in autunno, quando i nodi dell’economia verranno tutti al pettine. Ma, intanto, dargli del fascista può indignare il 60 per cento degli italiani (un pd su tre) che ne condivide le scelte su Ong e flussi. Recriminare non serve: il populismo riempie i cuori lasciati vuoti dall’assenza di riformismo. Meglio, per ciò che resta della sinistra, rimboccarsi le maniche.