Corriere 22.6.18
Tra passato e futuro
Sovranisti, interessi e false alleanze
di Angelo Panebianco
Sovranismo,
malattia senile dell’Occidente? Chissà se alcuni dei politici che,
sulle due sponde dell’Atlantico, invocano il ritorno pieno delle
sovranità nazionali, si rendono conto delle possibili implicazioni.
Forse qualcuno sì. Ma sa anche che difficilmente sarà chiamato a
risponderne.
Per capire occorre una piccola digressione. «Chi
rompe paga e i cocci sono suoi» è una regola che vale solo qualche volta
in politica. Per lo più, a pagare non è chi ha sbagliato: il conto, e i
cocci, vengono affibbiati a qualcun altro. Ciò dipende dalla sfasatura
temporale che c’è fra il momento in cui viene presa - per lo più per
ragioni demagogiche - una decisione sbagliata, e il momento in cui si
manifesteranno gli effetti negativi. Poiché può passare molto tempo
prima che ciò accada, delle due l’una: o ci sono adesso nuovi dirigenti,
diversi da quelli che presero a suo tempo la decisione sbagliata,
oppure, se sono ancora al potere questi ultimi, essi possono sfruttare
la suddetta sfasatura temporale per negare, di fronte al pubblico, ogni
responsabilità. Si consideri anche il fatto che quando la decisione
sbagliata venne presa i responsabili ci guadagnarono in consensi. È
nella natura delle scelte demagogiche di assicurare consenso ai
governanti nel breve termine e danni ai Paesi nel lungo termine.
Torniamo
al caso dei sovranisti/nazionalisti. Forse il loro successo attuale in
Occidente è il portato della «maledizione» della terza e della quarta
generazione.
Coloro che hanno vissuto sulla propria pelle il
tormento della guerra faranno di tutto per impedire che essa ritorni e
trasmetteranno, con i racconti delle proprie tribolazioni e delle
tragedie vissute, la stessa disponibilità d’animo e la stessa volontà
alla generazione successiva. Ma dopo che coloro che hanno vissuto il
dramma sono scomparsi, quando non ci sono più testimoni diretti, le
generazioni subentranti sono ormai, per così dire, «vergini», di quel
dramma ne hanno sentito parlare (forse) solo a scuola. Bisogna essere
ottusi per pensare che i nomi di Hitler o di Stalin possano evocare
chissà quale forma di raccapriccio in un giovane di oggi. Perché mai
quei nomi dovrebbero suscitare in lui emozioni diverse da quello,
poniamo, di Gengis Khan?
La maledizione della terza e della quarta
generazione consiste in questo: le prudenze di un tempo vengono
abbandonate poiché i fantasmi del passato sono svaniti. Le nuove
generazioni si avviano così, in modo incosciente, a ripercorrere le orme
di coloro che, diversi decenni prima, misero in scena il dramma.
È
a questo «ciclo generazionale» che va imputata anche la diffusione
della falsa idea secondo cui l’Europa, non conoscendo più guerre
generali dal 1945, sarebbe entrata, in modo irreversibile, in un’era di
«pace perpetua». Anziché riconoscere che la lunga pace post-1945 si deve
a un concorso di condizioni eccezionali, che potrebbero svanire prima o
poi, molti pensano che non ci sia più alcuna possibilità che gli incubi
di un tempo ritornino.
I sovranisti scherzano con il fuoco.
Ammesso che, prima o poi, si possa ricostituire qui in Europa un mondo
di Stati pienamente sovrani, è certo che in quel mondo la guerra
tornerebbe a essere la regola. Altro che pace perpetua.
Dovrebbe
essere facile capire perché. Basta considerare quanto già oggi accade. I
sovranisti sono vittime di una contraddizione. Si dichiarano solidali
l’un con l’altro: i sovranisti francesi con quelli americani, italiani,
inglesi, eccetera. Si ascolti, ad esempio, cosa dice quel piazzista del
sovranismo che è Steve Bannon (ex sodale di Donald Trump). In realtà,
nel caso che molti di loro (ancor più di quelli già oggi al potere) si
trovassero simultaneamente alla guida dei rispettivi Paesi, sarebbe la
loro stessa ideologia a spingerli l’uno contro l’altro. Il sovranismo,
infatti, concepisce i rapporti internazionali in termini di gioco a
somma zero (di tanto guadagna lui, di altrettanto perdo io, e
viceversa). Ma se i rapporti internazionali sono solo a somma zero non
c’è altra possibilità che la rivalità. Mors tua vita mea: non voglio
migranti e quindi voglio che te li tenga tutti tu. Non voglio le tue
merci e quindi alzo dazi che ti danneggeranno.
Per evitare di
cadere nello stesso vizio — una fuga dalla realtà — che rimproveriamo ai
sovranisti, occorre tenere conto di tre circostanze. La prima: il
sovranismo è l’estremizzazione di una tendenza che accomuna molte forze,
anche quelle dette moderate. Macron e Merkel sono solo più ipocriti di
Salvini o del gruppo di Visegrád. Con le loro politiche sulla questione
dei migranti hanno favorito il risultato delle elezioni italiane del 4
marzo e stanno contribuendo a mandare all’aria il principio di Schengen
sulla libera circolazione in Europa. Il sovranismo è una malattia che in
Occidente ha contaminato un po’ tutti.
La seconda circostanza
riguarda il fatto che in un contesto di interdipendenza internazionale,
saturo di legami, i sovranisti, se vogliono combinare qualcosa, devono
venire a patti con la realtà. Ed ecco Salvini che invoca «frontiere
europee» o che ricorre (come attestava ieri Il Foglio) a fondi europei e
all’Onu per intervenire in Libia.
La terza circostanza è che il
sovranismo si declina diversamente a seconda della forza dei Paesi. Una
cosa è essere la superpotenza guidata da Trump, altro è essere un Paese
europeo. Se sei l’Italia (e domani, eventualmente, la Francia) dovrai
conciliare le velleità sovraniste con la ricerca di un protettore (la
Russia).
Ciò che un tempo si chiamava Occidente (e che forse oggi
non è più lecito chiamare così) ove convivevano il legame atlantico e
l’integrazione europea, si fondava sull’idea che dalla cooperazione
tutti i membri della famiglia occidentale potessero guadagnare. La
cooperazione, valorizzando l’interesse nazionale di ciascuno, alimentava
la pace fra i Paesi occidentali.
Ora ci sono forze che contestano
quel principio. Cosa credete che accadrà se un giorno vinceranno su
tutta la linea? Si potrebbe esser tentati di dire: imponiamo a tutti
questi incoscienti sovranisti la visione obbligatoria di un bel film di
un paio di anni fa: Frantz. Narra di genitori europei che,
entusiasticamente, mandarono i propri figli a farsi scannare sui campi
di battaglia della Prima guerra mondiale. Ma bisogna resistere alla
tentazione: per un sovranista sarebbe come assistere a una noiosa
conferenza su Gengis Khan.