venerdì 22 giugno 2018

Corriere 22.6.18
Trump e la morte della democrazia
di Massimo Gaggi


I nazisti emersero nella Germania di Weimar come movimento di protesta nazionalista contro la globalizzazione. Con Hitler, leader non di un popolo che sceglie razionalmente, ma di una tribù decisa a seguire il suo Führer: che usava di continuo argomenti falsi, accusando poi gli avversari di essere i veri bugiardi. Attore consumato, ma anche uno capace di intuire speranze e paure della gente. Nel suo nuovo saggio sull’ascesa di Hitler lo storico americano Benjamin Carter Hett sta attento a non fare paragoni tra la Germania di quegli anni e gli Stati Uniti di oggi. Ma il titolo scelto — The Death of Democracy, «La morte della democrazia» — è già di per sé evocativo e i liberal americani che divorano il suo saggio (come altri simili, ad esempio How Democracies Die di Daniel Ziblatt) hanno lo sguardo fisso su Trump e sul partito repubblicano che lo tollera, pur considerandolo un corpo estraneo. Per capire ciò che si muove nella pancia dell’America e misurare la scarsa lungimiranza dell’attuale dirigenza Usa è, però, più utile leggere un altro libro pubblicato di recente: The Marshall Plan, Dawn of the Cold War («Il piano Marshall, l’alba della Guerra fredda») scritto dallo storico dell’economia Benn Steil. Un racconto dalle tinte assai meno forti degli altri ma assai lucido nell’analizzare la ricostruzione post-bellica. Un’America vittoriosa e generosa, pronta a spendere per rimettere in piedi i Paesi appena sconfitti, nel ricordo di molti. Non andò così: la gente, dopo due guerre mondiali nate in Europa e costate la vita di 522 mila americani, voleva tornare all’isolazionismo predicato da Washington fin dall’alba della nazione. Ma Truman capì che lasciare un’Europa distrutta e affamata avrebbe significato fare un regalo a Stalin: bisognava ricostruire e fermare l’espansione sovietica. Il presidente democratico rinunciò a dare il suo nome al piano, consapevole che c’erano da battere i venti contrari di un Congresso in mano ai repubblicani e di un popolo che non voleva fare altri sacrifici per l’Europa. Il piano fu così affidato a un eroe di guerra: il generale George Marshall, divenuto segretario di Stato, che mise tutto il suo carisma nello sforzo di convincere il Congresso e il popolo americano che aiutare l’Europa e restarci militarmente era l’unico modo per evitare un’altra guerra. Stessi americani recalcitranti, ma anche leader lungimiranti, disposti a restare dietro le quinte: altri tempi.