Corriere 21.6.18
Il significato delle parole
Il censimento: perché no
Circola una versione minimizzatrice e minimalista che dice: e che sarà mai un censimento in più!di Pierluigi Battista
Se
ne sono fatti tanti, uno addirittura nel 1961 nel Regno d’Italia nuovo
di zecca, piantiamola con tutto questo chiasso. Versione sbagliata,
incongrua, infondata: le parole non sono solo una definizione del
vocabolario, sono anche l’accento con cui le pronunciamo, l’intenzione
che manifestano, i sottintesi morali e culturali a cui alludono. Se
viene censita una popolazione per sapere quanti lavoratori dipendenti
essa conta, lo scopo è squisitamente conoscitivo, serve a fotografare
una situazione sociale di cui uno Stato deve tenere conto. Se si
censisce una porzione della popolazione con intenzioni palesemente
ostili, per metterla nel mirino, per minacciarla con provvedimenti
severi e punitivi sulla base dei dati acquisiti con il censimento,
allora questa parola, «censimento», assume tutto un altro significato. E
del resto anche l’avverbio «purtroppo» può avere significati molto
diversi. «Purtroppo ho la febbre, non posso partire per le vacanze»
esprime rammarico per una circostanza che malauguratamente mi impedisce
di fare una cosa gradevole. «Purtroppo i rom italiani ce li dobbiamo
tenere», come ha detto non un cittadino qualunque nel peggior bar di un
quartiere malfamato, bensì il ministro dell’Interno, esprime invece una
ripulsa verso un categoria particolarmente detestata di concittadini, e
il rammarico di non poterla prendere a pedate e cacciarla via. Purtroppo
è molto diverso. Purtroppo, per noi tutti.
Il censimento dei rom
propagandato da Matteo Salvini, del resto, vuole marcare esattamente
questa differenza. Chi dice che in fondo qualcuno lo aveva già fatto,
che tutti noi italiani che purtroppo non siamo rom (ma anche i rom
italiani che purtroppo, secondo il ministro, sono rom e pure italiani)
già siamo censiti, che anche amministrazioni non leghiste si sono
trovate di fronte allo stesso problema, purtroppo stenta a dare atto a
Salvini di aver lui per primo marcato una differenza. Il messaggio di
Salvini infatti è: sono il primo a proporre questa cosa, con me l’Italia
conosce finalmente un punto di svolta sul tema dei rom. Ed è questa
novità il vero pericolo, il messaggio che si vuole sbandierare agitando
lo spettro del censimento. La novità è la disposizione aggressiva che il
censimento salviniano contiene ed esprime. Un normale censimento
rilevato con gli strumenti dell’Istat non aggredisce nessuno, e compone i
dati per comporli in un racconto coerente di come è fatta l’Italia e
chi la abita, con quali lavori, con quali famiglie, in quali case, con
quali consumi. Il censimento paventato dei rom mette nel mirino una
categoria considerata pericolosa. Il presidente del Consiglio Conte
giustamente sostiene che la schedatura etnica è contraria ai valori e
alla lettera della Costituzione. Per questo Salvini usa l’espressione
apparentemente più neutra di «censimento». Una parola che da una parte
indica una continuità (si è sempre fatto, dicono i minimizzatori), ma
dall’altra ammicca a una differenza, suggerisce agli elettori che la
«pacchia», anche in questo caso, è finita. Fosse stato un provvedimento
da ministro dell’Interno che ha a cuore la sicurezza dei cittadini
italiani bastava dire: faremo ispezioni per vedere che a tutti i
bambini, compresi i rom, sia garantito il diritto di andare a scuola. Ma
non è stato detto questo, è stato detto che i rom devono essere
soggetti a un trattamento particolare. È stato detto che i rom sono un
pericolo, non perché i bambini non vengono mandati a scuola nell’età in
cui tutti i cittadini italiani devono obbedire alle norme dell’obbligo
scolastico, ma perché sono rom. Il trattamento speciale viene riservato a
una fetta della popolazione a causa di ciò che è, non di ciò che fa. E
se si viene indicati, messi nel mirino, presi a bersaglio per ciò che si
è e non per ciò che si fa, allora una soglia morale e lessicale è stata
superata, significa che il pericolo della discriminazione è nelle cose e
nelle parole. E che non è questione di vocabolario, ma di cultura e di
memoria storica. E dunque che nessun «censimento» della popolazione rom,
motivato da queste premesse, può essere fatto. E che il presidente del
Consiglio Conte si deve impegnare di fronte agli italiani, a tutti gli
italiani, che il ministro dell’Interno non può fare di testa sua.
Purtroppo? Forse no.