giovedì 21 giugno 2018

il manifesto 20.2.18
Il sovranismo non difende il popolo e divide la sinistra
Immigrazione. Il punto è che il populismo è pericoloso non solo in sé, ma per quello che implica. Così l’antipolitica dei Cinquestelle, con il rassicurante mantra «né di destra, né di sinistra», ha aperto le porte al sovranismo neofascista della Lega, divenuto dominante
di Donatella Di Cesare


Si sa che il virus del populismo sopravvive al portatore. Immunizzarsi non è facile. Sarebbe un errore non vedere la continuità tra Berlusconi e la coalizione legastellata. La lezione è che i populisti possono tornare, in forme persino più gravi.
Sebbene non si possano trascurare le differenze, i nessi tra leghisti e grillini sono evidenti: antieuropeisti, sovranisti, nazionalisti. Insieme all’Europa, il loro nemico numero uno è l’«immigrazione clandestina». La loro rapida ascesa è dovuta all’abilità con cui, soffiando sulla paura e facendo leva sul rancore, sono ricorsi ad una mobilitazione politica dell’odio indirizzato in alto contro i politici, quelli che sono tutti corrotti, in basso contro i cenciosi stranieri, quelli che rubano casa e lavoro.
Il populista attuale aspira a farsi portavoce del «popolo», inteso come un tutto omogeneo e puro, che vuole difendere dai nemici: da una parte le «caste», le «élites», dall’altra gli immigrati. Se è banale questa concezione, in cui si dimentica che il potere è diffuso e trasversale, grottesco è il modo di semplificare una realtà complessa, come quella della globalizzazione, nella quale il populista non sa districarsi. Il complottismo è la sua visione del mondo; vede trame ovunque, riconduce tutto a un retromondo da cui scaturirebbe il male. Breve è di qui il passo che conduce a parlare dell’immigrazione come «deportazione di massa», se non addirittura di «sostituzione etnica», secondo il mito elaborato dalla nuova destra francese. Sono le parole d’ordine rilanciate ossessivamente da Diego Fusaro.
Il punto è che il populismo è pericoloso non solo in sé, ma per quello che implica. Così l’antipolitica dei Cinquestelle, con il rassicurante mantra «né di destra, né di sinistra», ha aperto le porte al sovranismo neofascista della Lega, divenuto dominante.
Sennonché il sovranismo ha investito anche la sinistra. Ed è questo forse oggi il rischio più grave. Non è una sorpresa che il primato nazionale – «Prima gli Italiani!», «Ognuno a casa propria!» – venga sbandierato dalla sinistra moderata che, un po’ ovunque, ha finito per sposare le sorti del neoliberismo. La novità è invece il ripiegamento sovranista di una parte almeno della sinistra «radicale». Questo fenomeno, che affiora nel contesto italiano come in quello europeo, ha assunto proporzioni inedite. In breve: il sovranismo divide la sinistra. Questa è la nuova frattura.
Il problema è esploso con la migrazione, tema molto dibattuto, ma poco esaminato nella sua profondità. Solo in questo Carlo Freccero avrebbe ragione nella sua analisi (il manifesto, 05.06.2018) per il resto ben poco condivisibile. Quel che non si vede è lo scontro epocale tra lo Stato e i migranti. Agli occhi dello Stato il migrante costituisce un’anomalia intollerabile, una sfida alla sua sovranità. Ecco perché, pur di esercitare il proprio potere, lo Stato lo ferma alla frontiera, che diventa anche la barriera tra i diritti dei cittadini e quelli dei migranti.
È possibile difendere unicamente i cittadini, sovrani indiscussi, liberi di decidere con chi coabitare. Questa è l’ideologia del sovranismo populista che si fonda non solo sull’autodeterminazione, ma anche sul possesso del territorio. Presunti comproprietari, i cittadini sono chiamati a selezionare e a respingere. Qui si materializzano vecchi spettri – anzitutto quello dello ius soli. Così anche il welfare viene limitato ai confini nazionali. Si mettono poveri contro immigrati. Perciò viene tradita la vocazione internazionalista della sinistra.
Riflettere sulla migrazione significa ripensare lo Stato. C’è una sinistra che resterà forse aggrappata sciovinisticamente a questa vecchia forma politica immaginando così di contrastare la «finanza globale». C’è tuttavia un’altra che guarda già oltre lo Stato guidata anche dalla carica sovversiva della migrazione.