Corriere 13.6.18
Il debutto di «Conversazione su Tiresia»
Camilleri: di nuovo in scena perché voglio capire l’eternità
di Emilia Costantini
Siracusa
Al centro del palcoscenico una poltroncina, una piantana illuminata, un
tavolino. Intorno, massi di pietra su cui sono poggiati una vecchia
macchina da scrivere, una valigia che trabocca libri, bauli che sembrano
contenere un sapere antico. Emerge il suono di un flauto, poi
un’allegra masnada di scugnizzi invade la ribalta improvvisando una
danza siciliana. Infine entra lui, Tiresia, Andrea Camilleri: coppola in
testa e occhiali scuri, tenuto per mano da un giovinetto.
Il
Teatro greco di Siracusa, l’altra sera, era gremito fino agli ultimi
spalti, per assistere al ritorno in palcoscenico da attore, a
settant’anni dal suo primo debutto, dello scrittore siciliano.
«Chiamatemi Tiresia, oppure, “Tiresia sono”, per dirla alla maniera di
qualcun altro», esordisce Camilleri, e scroscia l’applauso degli
spettatori, tra i quali siede anche la sua amata creatura
Montalbano-Luca Zingaretti.
Accomodato in poltrona, e seduto per
terra accanto a lui il giovinetto, il «vecchio saggio» inizia il
racconto di un’ora e mezza, un flusso di peripezie letterarie che
ricostruisce attraverso i secoli la storia del celebre indovino.
«Qualcuno di voi avrà visto il mio personaggio su questo palco negli
anni trascorsi, ma si trattava di attori che mi interpretavano. Oggi
sono qui di persona, per mettere un punto fermo nella mia trasposizione
da persona a personaggio». L’uomo Camilleri, cieco ma con un’invidiabile
memoria di ferro, si identifica con il cieco Tiresia. Si parte dalla
nascita a Tebe, poi la prima trasformazione da maschio a femmina per
colpa del vendicativo Zeus: «Diventare donna non significa solo perdere
gli attributi maschili, ma anche ricevere un cervello affollatissimo. Un
inferno!». Si prosegue attraverso le infinite interpretazioni del
personaggio mitologico da parte di poeti, storici, filosofi
drammaturghi: da Esiodo a Sofocle, da Omero a Dante, Apollinaire,
Pasolini, Pound, Primo Levi...
Non mancano siparietti
sull’attualità: «Distinguere tra maschio e femmina? È come riuscire a
distinguere oggi in Italia un politico di sinistra da uno di destra».
Cieco, preveggente e condannato a vivere: una disgrazia. Ma aggiunge:
«Da quando non vedo più, vedo con più chiarezza». Nel saluto finale
spiega: «A settembre compio 93 anni. Ho scritto più di cento libri, un
mio personaggio percorre il mondo. Poteva bastarmi? No. Voglio capire
cosa sia l’eternità che ormai sento vicina e solo venendo tra queste
pietre eterne posso intuirla. Forse ci rivediamo qui tra cent’anni».