Corriere 13.6.18
La tela strappata
di Paolo Lepri
Tutti
contro tutti, in questa Europa che vacilla. Ma lo scontro tra Italia e
Francia ha un sapore ancora più amaro dei conflitti prodotti dalla non
volontà di ammettere che l’emergenza è stata affrontata ignorando le
difficoltà di chi è più esposto (come noi) all’ondata dei dannati della
Terra. Forse sarebbe stato possibile, invece, trovare un linguaggio
comune tra due Paesi non governati da quelle famiglie politiche che
hanno garantito uno status quo messo a dura prova da nuove insofferenze.
Erano giunti segnali in questa direzione dopo la nascita del governo
Conte. Ma le parole di ieri sono una svolta. Sembrano passati secoli dai
risolini di Sarkozy (e di Merkel) sull’affidabilità dell’Italia. La
tela è più strappata.
Come ha detto il presidente del Parlamento
europeo Tajani, «il problema dei migranti rischia di far esplodere
contraddizioni che faranno un danno enorme». Sta accadendo così. È
inutile dire che l’iniziativa del ministro Salvini di negare l’approdo
alla Aquarius è stata un gigantesco sasso gettato in un Mediterraneo nel
quale l’Italia non ha mai ricevuto la solidarietà necessaria. Quando le
muraglie di acqua prodotte da questo tsunami si ritireranno, non sarà
facile ricostruire. Dovremmo però avere le idee più chiare: questa
battaglia non si può vincere da soli.
F orse sarebbe stato troppo
«buonista» sperare che Salvini gettasse il suo macigno sul tavolo del
Consiglio europeo invece che nel mare. Ma, qualsiasi siano gli obiettivi
di un’azione, è necessario tessere una strategia delle alleanze. Anche
perché le politiche dei «falchi» europei, i cui interessi sono opposti
ai nostri, contribuiscono da sempre a creare il contesto in cui l’Italia
«è stata lasciata sola».
In questo quadro si inserisce Emmanuel
Macron e le sue accuse al governo italiano di «cinismo irresponsabile».
Il punto debole del presidente francese, come molti fonti diplomatiche
hanno osservato, è stato un ondeggiamento di posizioni spesso difficile
da comprendere. Fatte salve alcune idee-forza, come un europeismo
limpido nei principi, la sua tattica è stata spesso contrassegnata da
svolte improvvise oppure è stata condizionata dagli alti e bassi del
rapporto con la Germania, soprattutto nel cammino delle riforme sul
funzionamento della zona euro.
Il rapporto con l’Italia ha subito
le conseguenze di questa situazione. Non è un caso che mentre a Berlino
compiva i primi passi la nuova «grande coalizione» tra
cristiano-democratici e socialdemocratici, il leader francese e l’allora
presidente del Consiglio Paolo Gentiloni mettevano le basi di quel
Trattato del Quirinale che potrebbe avere il compito, se il lavoro
preparatorio arriverà a risultati positivi, di rendere più forti le
relazioni bilaterali «al servizio dell’intera Unione». L’idea era quella
di una Europa più sovrana e più unita, in grado di diventare, nelle
parole dell’Eliseo, «una potenza energetica, ambientale e digitale».
Il
cambio di stagione seguito alle elezioni del 4 marzo ha complicato le
cose. Ma, nonostante questo, un rapporto positivo con l’Italia a Parigi
era stato giudicato indispensabile. Ecco la telefonata di Macron a
Conte, ecco l’invito all’Eliseo. Che cosa è successo? Qual è la ragione
dei furibondi interventi di ieri? L’impressione è che l’esigenza di
inviare un messaggio politico all’opinione pubblica, anche italiana, sia
prevalsa sul pragmatismo della ricerca di nuove geometrie diplomatiche.
Non è un mistero che in vista delle prossime elezioni del Parlamento
europeo Macron si stia muovendo per rompere da una parte l’egemonia
popolare e socialista e per sconfiggere dall’altra il pericolo di un
primato populista nell’assemblea di Strasburgo. Si spiegano così,
probabilmente, le accuse di ministri e portavoce. Va aggiunto che,
comunque si possa giudicare la mossa di Salvini, dalla Francia sono
venute molte critiche ma poche proposte di soluzione.
Una parola
molto usata in questi giorni è «ipocrisia». Certo, non si può negare che
la Francia abbia avuto in questi anni una linea durissima nei confronti
dei migranti che ha spesso violato i più elementari diritti: confini
blindati, brutalità delle forze dell’ordine, intransigenza, mancanza di
umanità. È ancora vivo il ricordo della donna incinta fatta scendere a
forza da un treno proveniente da Ventimiglia. Nel marzo scorso, poi,
cinque agenti delle dogane francesi, armati, fecero irruzione in una
sala del centro migranti di Bardonecchia, in territorio italiano, per
eseguire un controllo. «Altro che espellere i diplomatici russi, qui
bisogna allontanare i diplomatici francesi», dichiarò Salvini,
aggiungendo che l’Italia non avrebbe più preso «lezioni» da Macron e
Merkel. Le polemiche di allora costituirono un primo segnale di allarme
che non è stato raccolto. Ora si tratta di proseguire un confronto,
lasciando da parte gli insulti. Perfino il generale De Gaulle riteneva
che un Paese avesse bisogno di amici. E non di nemici, come sembrano
credere Macron e Salvini.