Corriere 12.6.18
La rottura dell’isolamento
di Goffredo Buccini
Qualcosa
di storico è accaduto, ammetterlo non è di destra o di sinistra: è puro
realismo. Non c’è da cantar vittoria né da menar scandalo ma c’è,
semplicemente, da tirare tutti assieme un profondo sospiro di sollievo.
Per
la prima volta, dopo anni di isolamento nei quali l’Italia era stata
ridotta dai suoi partner europei a imbuto rovesciato e sigillato delle
migrazioni, il tappo è saltato, il sigillo s’è rotto.
La nave
Aquarius, con i suoi 629 migranti (tra cui undici bambini e sette donne
incinte) non approderà in un nostro porto ma in quello di Valencia,
grazie all’apertura del nuovo premier spagnolo, il socialista Pedro
Sánchez.
Difficile non riconoscere che questo sia un buon
risultato a meno di essere ostaggi dell’ideologismo più accanito.
Difficile, in egual misura, non vedere come questo risultato sia frutto
di un grosso azzardo politico e giuridico giocato sul filo del rasoio
dal ministro degli Interni italiano e capo della Lega, Matteo Salvini:
qualcosa che poteva tramutarsi in tragedia se appena i dadi della sorte
si fossero girati altrimenti.
Questo azzardo muoveva da ragioni in
parte comprensibili e certamente condivise da una grande fetta
dell’elettorato cui Salvini non smette di rivolgersi pure nei suoi primi
passi istituzionali. Quando, tra sabato e domenica, la Aquarius ha
raccolto con una serie di interventi il suo carico di umanità disperata,
s’è riproposto un canovaccio che tutti conosciamo da troppo tempo:
l’ennesimo rifiuto di Malta di farsi carico dei profughi nel suo
spicchio di Mediterraneo (a ragione o a torto nel caso di specie, a
questo punto, poco importa); e il consueto non cale dell’Unione Europea e
della comunità internazionale: si tratta di una faccenda che devono
sbrigarsi maltesi e italiani, ci veniva detto da qualche portavoce della
Commissione (il commissario Dimitri Avramopoulos ha poi con medesima
leggerezza lodato la «vera solidarietà europea» finalmente mostrata con
la scelta di Sánchez). Non risultavano, in quelle ore angosciose di
stallo nel mare, solidali prese di posizione da chi, come Emmanuel
Macron, aveva sostenuto che l’Italia fosse stata vittima di un fenomeno
migratorio «brutale»; o da chi, come Angela Merkel, aveva mostrato
comprensione per il nostro lungo isolamento.
C’è, in questo
azzardo, finito bene anche per il desiderio politico di Sánchez di
marcare subito una netta differenza col proprio predecessore, il
conservatore Rajoy, un risvolto cinico che non può sfuggire. E che sta
alla base delle vibrate proteste (e minacciate denunce) di un fronte che
va dalla sinistra ai radicali, dalla Chiesa alle organizzazioni
umanitarie. La domanda posta è semplice: si poteva (si potrà) giocare
una simile partita sulla pelle di profughi, famiglie, bambini, madri in
fuga da violenza, paura e morte? Si può negare il soccorso in mare nel
nome della ragion di Stato? Il fronte umanitario, tuttavia, mostra di
dimenticare totalmente la condizione del nostro Paese (frontiere
sigillate, Schengen sospeso de facto e flussi frenati a tempo e solo
dall’attivismo di Marco Minniti): con uno scontro tra ultimi che sta
minando il patto sociale e la convivenza democratica specie nelle aree
più svantaggiate delle nostre metropoli. E soprattutto quel fronte pone,
a nostro avviso, la domanda in termini impropri.
La mossa di
Salvini, prima del clamoroso colpo di scena spagnolo che ne ha
«europeizzato» il contesto, era rivolta alle Ong e al loro rapporto
controverso con l’Italia: è palese che un blocco, per odioso che sia, si
possa semmai applicare a navi attrezzate e sicure come le loro, non
certamente a «boat people» sul punto di affondare. I migranti
dell’Aquarius erano già in salvo e nostre motovedette avrebbero
rifornito la nave in caso di bisogno.
Resta un elemento morale
quasi indigeribile, è vero: l’idea di far politica gettando sul tavolo
verde vite umane. E resta il retrogusto un po’ grottesco d’una battaglia
diplomatica tra una potenza mondiale (lo siamo ancora?) e uno
staterello grande appena sei volte l’isola di Ischia. Ma, d’altra parte,
resta un improvviso cambiamento di scenario che può avvantaggiare gli
stessi migranti e cambiare di nuovo la narrazione delle migrazioni in
Italia.
Il caso Aquarius e l’esempio spagnolo costituiscono
precedenti da cui sarà difficile tornare indietro. In qualche modo si
cambia il trattato di Dublino nei fatti prima ancora che nei dossier
della diplomazia. Nuovi azzardi sono però sconsigliabili. Non sarà male
riprendere il lavoro di Minniti con i libici per evitare un’estate di
bracci di ferro. Ricordando che rompere l’isolamento italiano non è una
partita di fazioni. E risolvendo magari qualche contraddizione: perché a
isolarci di più sono stati sinora i Paesi dell’Est europeo, quel gruppo
di Visegrád capitanato dall’ungherese Orbán che Salvini sembra avere
eletto a stella polare.