Repubblica 3.5.18
Tra storia e misteri il film che racconta i 55 giorni di Moro
di Marco Bracconi
Domani in edicola con Repubblica la prima parte de “Il condannato.
Cronaca
 di un sequestro”, il dvd in cui Ezio Mauro documenta fatti e 
interrogativi del caso che scosse l’Italia, con materiali inediti e 
interviste esclusive
La fine di un uomo e quella della Prima 
Repubblica, ma anche il fallimento delle Brigate Rosse e del loro 
tentativo di annientare una democrazia più forte di quello che essa 
stessa riteneva di essere: è all’incrocio tra via Stresa e via Fani, il 
16 marzo del 1978, che sta l’incrocio dei venti della Storia d’Italia, 
la tragedia di una Repubblica e quella di una famiglia, l’abnormità di 
un verdetto già scritto e le convulsioni di un mondo politico costretto a
 dimenarsi tra la ragione di Stato e le ragioni di un uomo.
L’inchiesta
 multimediale di Ezio Mauro sul rapimento Moro Il Condannato - cronache 
di un sequestro, dopo essere apparsa a puntate su Repubblica e in 
formato web serie su
Repubblica. it, è ora anche un film in due 
parti e un libro: al primo dvd in edicola domani seguirà il secondo l’11
 maggio, mentre il volume che raccoglie tutte le puntate uscirà il 18 
maggio.
Vedere, leggere, ricordare, e capire, allora, nei tanti e 
diversi modi con cui il giornalismo può raccontare i fatti; con la 
parola scritta o per immagini, per esempio, rivisitando i luoghi di quei
 55 giorni , riascoltando i protagonisti chiamati a testimoniare i loro 
sentimenti politici e personali, entrando e uscendo dagli archivi dove 
sono custodite le lettere autografe del presidente Dc, i comunicati 
originali dei terroristi, le armi usate per una strage dalla precisione 
(e spietatezza) millimetrica.
Un film, Il condannato, che è anche 
un omaggio alla forza del documento: sono tragicamente veri i fori di 
proiettile sull’auto di scorta che l’autore sfiora nel limbo di un 
deposito giudiziario, e altrettanto vera e presente è questa Roma 
inquadrata spesso dall’alto, unita e disunita dalle sue palazzine della 
periferia-bene e dai Palazzi del potere.
Se poi si passa dalle 
immagini del film al libro, capita di sentirsi mancare il fiato perché 
la narrazione di Mauro segue un orologio che corre senza sosta verso 
l’inevitabile epilogo, accompagnando un tempo accelerato e convulso, 
tanto lontano se lo si guarda dall’oggi ma tanto vicino se si insiste a 
scrutarne i misteri insoluti. Un tempo restituito dal ritmo di una 
lingua senza sentimentalismi né teoremi da difendere, la scrittura di un
 “cronista”, dunque, che si riaccosta decenni dopo a fatti e 
testimonianze che con il passare degli anni non hanno perso di formulare
 le loro domande senza risposta.
Ne esce un racconto che può anche
 leggersi come un sistema binario di corrispondenze e opposizioni: il 
“processo proletario” di via Montalcini e quello di Torino ai 
brigatisti, la linea della fermezza e quella della trattativa, i pochi 
metri quadrati della prigione del presidente Dc e la città-prigione in 
cui gli stessi terroristi si ritrovano nei giorni dell’assedio. Ma è la 
condanna del prigioniero a sovrastare fin dal primo giorno ogni 
passaggio cruciale, come fosse una macchina autonoma messasi in moto con
 l’eccidio della scorta e destinata a fermarsi solo davanti ad un corpo 
senza vita nel bagagliaio di una Renault 4 rossa.
«L’accusa che 
muovevano a Moro, il suo essere referente dello Stato Imperialista delle
 multinazionali, era troppo abnorme per non contenere già in sé la 
condanna a morte», dice Ezio Mauro ricostruendo la vicenda da un punto 
di vista capace di tenere assieme il dramma privato e il travaglio della
 politica, le cronache “militari” di un Paese in guerra e le piccole 
vite quotidiane dei brigatisti, le lettere dello statista democristiano e
 quelle dei titoli dei giornali di allora. È la fotografia di un’Italia 
impaurita ma capace di reagire, forte e debolissima, unita contro il 
nemico ma immersa nel chiaroscuro dei suoi poteri perennemente opachi.
Ma
 è un’altra fotografia, quella del presidente Dc sotto la bandiera a 
cinque punte e il “dominio pieno e incontrollato” di cui lo stesso Moro 
parla in una delle sue prime missive, l’immagine simbolica che tutto 
riassume.
Quel volto immortalato nelle pause di un interrogatorio 
che ripropone lo schema binario di due universi né paralleli né 
convergenti, con i brigatisti che chiedono nomi e “colpevoli” e Moro che
 risponde facendo ragionamenti politici complessi.
La semplificazione ideologica, insomma, contro “l’intelligenza degli avvenimenti” tanto casa allo statista ucciso.
Un
 “processo” allo Stato e ad un uomo ordito da guerriglieri che non 
capivano nemmeno ciò che gli si stava rivelando. Anche loro prigionieri 
fino alla fine di una sentenza scritta quasi due mesi prima, alle 9,02 
di un mattino di piombo.
 
