mercoledì 30 maggio 2018

Repubblica 30.5.18
L’intervista
“Ora l’Opera è davvero finita: abbiamo visto oscillare i neutrini”
Giovanni De Lellis è professore di Fisica Sperimentale all’Università di Napoli
di Elena Dusi


Doveva cercare un ago in un pagliaio. Ne ha trovati dieci. Opera ha concluso la sua missione di “acchiappaneutrini”. L’apparato scientifico grande come un palazzo di tre piani costruito nei Laboratori del Gran Sasso aveva il compito di acciuffare “le particelle più vicine al nulla che esistano”, sparate in un fascio dal Cern di Ginevra verso la montagna abruzzese. In particolare, doveva confermare sperimentalmente un’intuizione di Bruno Pontecorvo del 1957: di neutrino non ne esiste un solo tipo, ma tre. E questo era stato dimostrato in passato. Ma Pontecorvo predisse anche che durante le loro peregrinazioni nel cosmo queste particelle si trasformano, saltando da una famiglia all’altra. È il fenomeno dell’oscillazione dei neutrini e Opera l’ha osservato per 10 volte. Oggi i suoi risultati escono su Physical Review Letters. Ma lo strumento, nei suoi 20 anni di vita, ha anche conquistato le prime pagine dei quotidiani per aver ipotizzato che i neutrini viaggiassero più veloci della luce. Si trattava però di un errore strumentale. Era il 2011 e nel commentare la notizia l’allora ministro Gelmini commise una delle più indimenticabili gaffe fra quelle dei politici impegnati a parlare di scienza. Dimenticando che i neutrini attraversano indisturbati la Terra, esaltò le prodezze ingegneristiche del tunnel di 732 km tra il Cern e il Gran Sasso. Tunnel che non esiste, ovviamente.
Giovanni De Lellis è professore di Fisica Sperimentale all’Università di Napoli, ricercatore di quell’Istituto nazionale di fisica nucleare che gestisce il Gran Sasso e dal 2012 coordinatore dei 180 fisici di 11 paesi che hanno lavorato in Opera. Nei Laboratori abruzzesi ha riassunto vent’anni di lavoro e stappato lo spumante di rito.
Come si cattura un neutrino?
« Abbiamo scelto una strada old fashion per il rilevatore, ma avanzatissima per l’analisi dei dati. Molti rilevatori, nel campo della fisica, oggi sono completamente elettronici. Opera invece è come una macchina fotografica che usa una pellicola con cristalli di bromuro d’argento. Anziché dalla luce, come le macchine fotografiche normali, le nostre lastre vengono impressionate dalle particelle, come quelle prodotte in alcuni casi per effetto del passaggio dei neutrini».
Suona un campanello?
« Ma no, possono passare mesi prima che ce ne accorgiamo. Le pellicole impressionate sono contenute in uno dei 150mila mattoncini che compongono l’esperimento. Un robot recupera il mattoncino e uno scanner legge le pellicole, ricostruendo le traiettorie delle particelle che le hanno attraversate. Il fascio di neutrini dal Cern è durato dal 2008 al 2012 e in questi cinque anni abbiamo raccolto 10mila interazioni di neutrini. Dopo averle analizzate una per una, abbiamo visto che solo 10 erano neutrini tau, cioè neutrini che si erano trasformati durante il tragitto da Ginevra ( dal Cern partivano solo neutrini di tipo mu). È stato a volte frustrante. Ma non quella sera».
Quale sera?
« Il 30 novembre 2009. Ero all’Università a Napoli e come al solito analizzavo tracce di particelle. All’improvviso apparve lei, nitida. Era la prima apparizione al mondo del neutrino tau. Si vedeva il punto in cui interagiva all’interno del mattoncino, dando vita a una cascata di nuove particelle, fra cui il leptone tau: la prova della oscillazione. In quella immagine c’era un intero corso di fisica delle particelle. Oggi la usiamo con gli studenti».
A Opera lavorava un gruppo nutrito di fisici giapponesi.
«Sì, loro sono stati pionieri dell’analisi automatica delle emulsioni e abbiamo condiviso il lavoro con loro. Un nutrito gruppo di fisici napoletani ha lavorato a lungo all’Università di Nagoya. Per disperazione il sabato sera andavamo a mangiare la pizza lì vicino».
Come andò invece la vicenda dei neutrini più veloci della luce?
« È stato un momento difficile per il nostro gruppo. Lo abbiamo superato concentrandoci sul nostro obiettivo primario: la ricerca del neutrino tau».
E ora? Cosa succede a un grande esperimento quando raggiunge il suo obiettivo?
« Lo strumento non c’è più, è stato smontato. Un altro apparato prenderà il suo posto, nella caverna sotto al Gran Sasso. Le emulsioni non sviluppate saranno recuperate per i prossimi esperimenti. Altri pezzi verranno usati dai cinesi per un rivelatore nuovo che stanno costruendo. Il piombo verrà riutilizzato direttamente al Gran Sasso».
E voi fisici?
«Ognuno sceglierà un nuovo esperimento a cui lavorare, al Cern, al Gran Sasso o altrove. In alcuni casi resteremo insieme. Io continuerò a occuparmi di neutrini, ma anche di materia oscura. In cerca di nuove piste per la fisica del futuro».