Repubblica 30.5.18
Paolo Taviani “Andrò avanti senza Vittorio finché l’Italia non risorgerà”
intervista di Arianna Finos
ROMA Paolo senza Vittorio.
«È
 la prima volta che parlo di mio fratello...». Le frasi restano un po’ 
sospese, ora che non c’è l’altra metà dei Taviani a completarle. Un mese
 e mezzo fa, il 15 aprile, la morte di Vittorio, i funerali in forma 
privata, il riserbo. «Ci avete visto sempre insieme, lavorare e vivere.
La mancanza, il senso di vuoto che provo potete immaginarli, io non riesco a esprimerli».
In
 queste settimane Paolo Taviani ha accompagnato in Europa l’ultimo film 
Una questione privata, girato da lui ma firmato da entrambi. «Sono stato
 in Svizzera, a Barcellona, Siviglia, Londra. Ovunque le reazioni sono 
state entusiaste. È antipatico autocelebrarsi, ma è andata così».
La vita deve andare avanti.
«Molti
 mi chiedono: ma continui a lavorare? Ieri guardando le date di nascita 
mi sono accorto che sono più vecchio di mio padre, di mia madre, dei 
miei nonni e dei miei bisnonni. Ma non intendo dare le dimissioni e 
lasciare, almeno finché non vedrò risorgere dalle macerie questo nostro 
disgraziato paese».
Le è stato consegnato un Nastro speciale, anche in omaggio a Vittorio, per la regia di “Una questione privata”.
«A
 me piace questo Nastro d’argento che va al film. E quindi a Vittorio, a
 me e a tutti quelli che lo hanno realizzato. Ai collaboratori, alla 
produttrice, agli attori, ai tecnici, agli operai. Va a tutti.
Perché dico questo? In questo film la gente ha lavorato con passione.
Si
 dice sempre, lo so, ma questa volta è stata una passione dovrei dire 
speciale, perché non c’era Vittorio. E sul set tutti si davano da fare 
per aiutarmi e mi hanno aiutato. Ognuno a suo modo.
Durante i 
primi giorni uno di loro mi disse, con un sorriso complice, sottovoce: 
“Guarda che quando alla fine di una scena dici ‘Stop, buona’, ti volgi e
 guardi alle tue spalle come a cercare una conferma che la scena va 
bene. Cerchi Vittorio, Paolo, ce ne siamo accorti tutti”».
Il ricordo più forte di questo vostro ultimo film insieme, anche se lei era sul set in Piemonte e Vittorio a Roma?
«Ogni
 giorno il materiale girato veniva trasferito su dvd e inviato a 
Vittorio, che lo vedeva dopo un giorno o due. Ci telefonavamo e, come 
sempre, discutevamo, litigavamo, apprezzavamo quello che c’era. Come 
sempre abbiamo fatto per tutta la vita. Per me il momento più bello è 
stato quando Vittorio ha visto la scena in cui la bimba sdraiata che si 
crede morta si alza, va in cucina a bere dell’acqua e si rimette accanto
 alla madre morta perché non sa dove andare: “Malgrado sapessi tutto di 
questa scena di cui abbiamo parlato tanto mi sono commosso”, disse 
Vittorio, “spero che il pubblico faccia come me”».
Alla vigilia di
 Cannes, un festival che ha celebrato i vostri film, è scomparso Ermanno
 Olmi, un vostro grande amico e produttore di “Una questione privata”.
«Con
 Ermanno ci ha legato un antico rapporto di amicizia. Il film non 
sarebbe stato possibile senza il coraggio di una produttrice come 
Donatella Palermo, che crede in un cinema a volte difficile per il 
grande pubblico. Lei segue questa strada di rigore e ha il nostro 
affetto e riconoscenza insieme a Betta Olmi e a suo padre Ermanno. Il 
rapporto con Olmi è sempre stato stretto.
Io credo che nel 
Dopoguerra dopo il Neorealismo, che è stato il Rinascimento della 
cultura e del cinema italiano, solo alcuni film sono stati all’altezza 
di quella grandezza: L’albero degli zoccoli di Ermanno è uno di questi. 
La cosa speciale e buffa che succedeva è che a lui facevano i 
complimenti per Padre padrone e a noi invece li facevano per L’albero 
degli zoccoli, pensando che fosse nostro. I nostri erano film solo 
apparentemente
lontani, che in fondo avevano un legame forte».
“Una
 questione privata”, tratto dal romanzo di Beppe Fenoglio, è ambientato 
nel passato ma coglie il clima che si respira oggi nel nostro Paese.
«All’inizio
 alcuni, leggendo il copione, ci dicevano: “Ma come, ancora i 
fascisti?”. Noi, mi ricordo, rispondevamo: “Quando abbiamo finito di 
girare La notte di San Lorenzo ci siamo detti che speravamo di non dover
 parlare più dei fascisti. Tucidide scriveva che per capire la guerra 
bisogna conoscere la storia delle guerre che accadono tra persone che si
 conoscono: quello è il senso più orribile del conflitto. Noi pensavamo,
 allora, che fosse finita, che di fascisti non avremmo parlato più. E 
invece, mentre si lavorava a questo film, abbiamo sentito un’aria di 
fascismo di ritorno.
Nel nostro Una questione privata si vedono i 
ragazzi della Repubblica di Salò, sono giovani, come i partigiani: è una
 battaglia tra ragazzi. I fascisti attaccavano sulle pareti dei paesi un
 manifesto in cui si vede un nero che allunga una manona su una 
bellissima donna bianca. Quel manifesto è stato ripreso nell’ultima 
campagna elettorale e attaccato nei paesi del Nord. Questo ci ha 
colpito, come ci hanno colpito gli insulti ad Anna Frank allo stadio. 
Abbiamo detto: non sembra, ma in forme non del tutto diverse il fascismo
 tenta di rinascere. Fenoglio non li chiamava scarafaggi, il nome 
scarafaggi neri glielo abbiamo dato noi. Raccontando quella storia 
sentivamo di parlare del nostro presente».
Parlando del presente, cosa pensa della figura del presidente Mattarella in questo momento politico?
«Ho una grande ammirazione per gli uomini che hanno coraggio.
Mattarella appartiene a quella categoria di uomini».