Repubblica 30.5.18
Le trattative per il governo
La tragedia greca
di Massimo Giannini
L’impensabile
è infine accaduto. Nel giorno in cui fatica a nascere persino il
governo balneare da ultima spiaggia di Cottarelli, l’Italia consuma il
primo atto della sua tragedia greca. In poco più di dieci giorni, le
follie sovraniste di Salvini e Di Maio ci sono costate 200 miliardi, tra
lo spread oltre quota 300 e la Borsa che annulla i guadagni di sei
mesi. Gli eroi del bi-populismo gialloverde sono dunque riusciti nel
miracolo al contrario: portare sul Paese una cappa da default. È
sfuggito loro Palazzo Chigi, per ora. Ma non lo scalpo dei
risparmiatori.
Lasciamo pure stare editoriali corrivi e vignette
indecenti della stampa tedesca, infarciti di cliché provinciali da
Oktoberfest in Baviera. Paradossalmente, sono i migliori alleati del
pentaleghismo tricolore che sta trascinando il Paese nel baratro,
insieme agli avvoltoi populisti alla Steve Bannon e ai falchi rigoristi
alla Gunther Oettinger, il volonteroso carnefice delle opinioni
pubbliche europee convinto che la pedagogia dei mercati possa educare e
infine domare la “bestia populista”.
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? segue dalla prima pagina
Purtroppo
è vero l’opposto: più un burocrate evoca lo spread come “ angelo
sterminatore”, più la bestia ruggisce, divora, ingrassa.
Basta
parlare con un operatore di Londra, o leggere New York Times o Financial
Times, per capire che da “laboratorio politico” siamo in realtà
diventati la Mina Vagante d’Europa. E se persino il governo di Atene si
preoccupa per la situazione italiana, abbiamo la misura di questo
maleficio. Di Maio e Salvini ne sono gli artefici tragici. Con un mix di
cinismo e dilettantismo, i “diarchi” di questa ennesima notte della
Repubblica hanno giocato sulla pelle degli italiani la partita del
governo. Di Maio per raggiungerlo a ogni costo, Salvini per fuggirne a
qualsiasi prezzo.
Il risultato è lo stesso. Paghiamo noi. Paghiamo
le contraddizioni di due leader che considerano un colpo di Stato
l’ennesimo esecutivo “ non eletto”, dopo che una settimana fa loro
stessi avevano indicato a Palazzo Chigi il mai-eletto avvocato Conte,
consacrato dal nulla, e per contratto, anonimo “ ombudsman” degli
italiani. Contestano “ l’abusivo” Cottarelli, dopo che tre mesi fa gli
avevano offerto fior di ministeri, mutuandone « l’eccellente piano sulla
spending review » . Annunciano la richiesta di impeachment di
Mattarella, citando a vanvera Mortati e poi rimangiandosi tutto,
tardivamente ma colpevolmente consci del fatto che il capo dello Stato
ha semplicemente esercitato le sue prerogative costituzionali.
Paghiamo
le bugie di due tribuni che hanno usato l’Italexit come feticcio e
Paolo Savona come fantoccio. Se oggi Roma somiglia ad Atene non è per
volontà dei soliti “poteri forti” che si oppongono al “ governo del
cambiamento”, ma per gli atti e i misfatti di chi lo voleva
rappresentare. Due settimane fa Huffington Post rendeva nota la prima
bozza del “ contratto di governo”, che prevedeva « l’opt- out » dalla
moneta unica, l’abbuono Bce da 250 miliardi di titoli sovrani, il
ripensamento della « governance economica europea ( patto di stabilità e
crescita, fiscal compact)». La bozza finale e solo parzialmente
corretta (dal reddito di cittadinanza alla “dual tax”) prevede
interventi per 128 miliardi, coperti per appena 600 milioni, e per il
resto finanziati da un «ricorso al deficit». Prevede l’introduzione dei
mini-Bot come “moneta parallela” e la riscrittura unilaterale delle
direttive bancarie su bail in e Basilea III. Quel testo è una miccia
euro- scettica innescata nel cuore del sistema. Alimenta i peggiori
sospetti sulla reale strategia della nuova maggioranza, di oggi e
soprattutto di domani.
Di Maio e Salvini non hanno mosso un dito
per fugare quei sospetti. Al contrario, li hanno alimentati. Fino a
costruire ad arte il “ caso Savona”, scagliato come una pietra contro il
Quirinale e contro Bruxelles. Savona cultore del “piano B” che serve a
tenere sotto schiaffo i partner. Savona teorico della Germania-Quarto
Reich che usa la moneta per proseguire la guerra con altri mezzi. Savona
buttato infine alle ortiche, insieme a un meraviglioso “governo
rivoluzionario” che era già pronto a trasformare finalmente questo
Paese. L’agognato Walhalla del popolo, perso per l’impuntatura su un
nome? Troppo assurdo, per essere vero.
Eccolo, il Grande Inganno
Sovranista. Fanno il gioco delle tre carte con l’Europa e l’euro,
sfoggiando una tragica ambiguità su un tema così cruciale per la nostra
vita quotidiana, fatta di salari e sussidi, di conti correnti e di
mutui, di tasse e di ticket. Salvini lo fa per calcolo, perché in questo
continuo alternarsi tra il gioco a nascondino e quello al massacro
contro l’establishment rafforza i consensi di un Nord che in fondo
dall’Europa non si vuole affrancare. Di Maio lo fa per confusione,
perché non sa più neanche lui cosa volere e cosa non volere. Tutti e due
scherzano col fuoco. Ma stavolta ci bruciamo tutti noi, cittadini e
risparmiatori.
Senza unione politica l’euro è una «moneta zoppa »,
come diceva Ciampi. Senza un rafforzamento delle sue istituzioni
rappresentative, questa Europa non può funzionare. Ma non è a colpi di
scure che l’Italia può addrizzare il legno storto dell’Unione, come
promette di fare la coalizione bi- populista. Fa bene il governatore di
Bankitalia Visco a ricordare che « il nostro destino è quello
dell’Europa », che per ridurre il nostro enorme debito pubblico « non ci
sono scorciatoie » , che ignorare le compatibilità finanziarie « non
sarebbe saggio » , che le norme entro cui operiamo possono essere
criticate e migliorate, ma «non possiamo prescindere dai vincoli
costituzionali » , cioè « la tutela del risparmio, l’equilibrio dei
conti, il rispetto dei Trattati».
Per questo il capo dello Stato
non può essere accusato di alcun “ tradimento”: si è fatto garante di
questi « vincoli costituzionali » , e nient’altro. Per questo
l’istituzione va difesa da qualunque spallata, nella giornata della
sediziosa festa della “ Contro- Repubblica” del 2 giugno. Ma per questo,
qualunque sarà la data del voto, bisognerà difendere anche i nostri
risparmi, un tesoro da 5.300 miliardi. Che cosa accadrà, se dalle urne
sempre più vicine prorompesse l’onda gialloverde, in un voto trasformato
in un referendum su euro sì- euro no? Il “ fronte repubblicano”,
purtroppo, rischia di essere troppo poco, e di arrivare troppo tardi.