Il Fatto 30.5.18
Salvini uno e bino. Gioca più partite e le vince tutte
di Peter Gomez
Matteo
Salvini è stato spesso preso in giro per non aver mai lavorato. Un
tribunale della Repubblica ha stabilito che non è diffamatorio definirlo
un politico di professione. Il leader della Lega è stato per la prima
volta eletto in consiglio comunale a Milano nel 1993, quando aveva 19
anni, e da allora è saltabeccato in Italia e in Europa da un’assemblea
all’altra senza mai brillare per presenzialismo. In molti definiscono
razziste le sue frasi e sue prese di posizione in materia di
immigrazione. L’appoggio palese a Viktor Orban, il primo ministro
ungherese, peraltro aderente al Partito popolare europeo, divenuto
tristemente celebre per aver costruito muraglie di filo spinato per
impedire il transito non ai migranti, ma ai profughi, gli ha giustamente
tirato addosso critiche su critiche. Ma al di là dell’opinione che
ciascun lettore può avere su Salvini, un fatto va onestamente ammesso.
Il leader della Lega esce da questi mesi di post voto con addosso la
casacca di unico fuoriclasse presente sulla scena politica italiana. Uno
dopo l’altro ha messo nell’angolo alleati, avversari e persino il
presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Forte del suo 17 per
cento dei consensi, conquistati grazie all’idea di trasformare la Lega
da partito regionale finto secessionista a forza dichiaratamente
nazionalista e sovranista, Salvini ha condotto le danze del post voto
fino a mettersi in una posizione di win-win. O partiva l’esecutivo
gialloverde con Paolo Savona ministro e Lega piazzata in molti dicasteri
chiave, o si andava a nuove elezioni con il Carroccio ancora più gonfio
di consensi.
Se si torna con la moviola della memoria agli
accadimenti di queste settimane ci si può rendere conto di come Salvini
abbia raggiunto questo risultato senza che nessuno dei suoi compagni di
strada possa accusarlo di scorrettezze o incoerenza. Il suo peccato (ma
in politica questa è una virtù) è semmai l’astuzia con cui ha saputo
approfittare dei loro punti deboli. Così Salvini ha provato a governare
con Luigi Di Maio senza rompere con Fratelli d’Italia e Forza Italia. I
due partiti erano terrorizzati dal voto anticipato. Sondaggi alla mano
temevano di essere fagocitati dalla Lega. Pensavano che i gialloverdi
dopo pochi mesi, a causa delle tante promesse e aspettative, si
sarebbero andati a schiantare perdendo consensi. Per questo non hanno
denunciato l’alleanza elettorale pur preannunciando un voto contrario
all’ipotetico governo. Allo stesso modo, Salvini ha procrastinato il
vero inizio delle trattative con i penstantellati in attesa di elezioni
regionali destinate a rendere psicologicamente più fragili Di Maio e i
suoi. Poi sedendosi al tavolo con i cinquestelle ha fatto perdere loro
appeal presso molti elettori provenienti da sinistra e per togliere a Di
Maio quell’aurea di leader radicale, ma moderato, che tanto
faticosamente si era riuscito a costruire durante la campagna
elettorale. L’apoteosi è arrivata con il veto di Mattarella su Savona. I
cinquestelle si sono ritrovati a proporre la messa in stato di accusa
del Presidente assieme alla destra, mentre Salvini, dopo le bordate di
rito, chiedeva solo nuove elezioni e ieri diceva esplicitamente: “Chi
insulta e minaccia Mattarella non fa parte del futuro del mio Paese. Ha
sbagliato, ma non chiedo l’impeachment”. Governare, certo è un’altra
storia (e forse la giudicheremo presto), ma per ora va detto che in
fatto di strategia, tattica e marketing, Salvini si dimostra un vero
professionista della politica forgiato da 25 anni di esperienza. Tutti
gli altri no.