Repubblica 30.5.18
M5S, Lega e l’assalto alle istituzioni
I nuovi Proci e l’Italia
di Massimo Recalcati
Anagraficamente
Salvini e Di Maio appartengono alla generazione che avevo battezzato
Telemaco: figli che hanno avuto il coraggio di farsi avanti, di
impugnare le sorti del loro destino, di impegnarsi in prima persona per
cambiare l’avvenire del loro Paese. Ma politicamente essi — anche alla
luce di questo ultimo tristissimo quanto drammatico episodio della loro
lunga marcia verso il potere — sembrano assomigliare di più ai Proci.
Sono i cosiddetti “pretendenti”, i giovani principi che nell’Odissea di
Omero esigono di possedere la regina Penelope e di insignorirsi del
trono decretando Ulisse morto, disperso in chissà quale mare. Nel poema
essi rivendicano il loro pieno diritto di governare Itaca nonostante non
abbiano mostrato alcun rispetto per le sue istituzioni democratiche.
Qui il lettore può spaziare ampiamente nella sua memoria tra le infinite
ingiurie leghiste e grilline alle nostre istituzioni: ma non è forse
questo il cemento armato della loro più profonda convergenza?
L’atteggiamento
dei Proci non è però solo antiparlamentare — interrompono con le armi
lo svolgimento di un’assemblea convocata da Telemaco, saccheggiano e
deturpano la reggia che li ospita — ma è offensivo verso la Legge stessa
della città. Il vuoto di Legge che si è determinato con l’assenza di
Ulisse li rende padroni assoluti. Evocare la morte di Ulisse significa
infatti evocare la morte della politica che deve lasciare il posto
all’arroganza di chi rivendica il proprio diritto inscalfibile alla
successione.
L’anti- parlamentarismo si ribalta così in una spinta
furiosa ad occupare le istituzioni parlamentari. Una differenza
sostanziale differenzia però i nuovi Proci dai vecchi. I nuovi hanno
ottenuto democraticamente il consenso del popolo per governare la polis.
Hanno un mandato, il popolo è con loro, li sostiene. Tuttavia, la Legge
della città ha il compito di ricordare loro che il diritto a governare
non implica lo sconvolgimento delle regole democratiche della
convivenza, non significa introdurre l’anti- parlamentarismo nelle
istituzioni nel nome del popolo. Lo squadrismo fascista violava la vita
democratica in nome del popolo. Ed è sempre, come è tristemente noto, in
nome del popolo che si sono commesse le più grandi atrocità nella
storia. I padri costituenti hanno affidato al presidente della
Repubblica un ruolo di garanzia. Bisogna che qualcuno ricordi ai nuovi
Proci le regole complesse di una democrazia. Il diritto a governare non
può mai coincidere con il diritto a fare quello che si vuole, con il
puro arbitrio. Leghismo e grillismo empatizzano facilmente tra loro
perché sono le espressioni più radicali del populismo: oppongono la
volontà del popolo alla vita della politica.
Di fronte al collasso
senza precedenti della sinistra e del Pd, di fronte al vuoto della
Legge della città che sembra prolungare all’infinito la lunga notte di
Itaca, c’è voluto ancora una volta il volto di un padre simbolico a
testimoniare che le istituzioni non sono proprietà di nessuno, che il
diritto al governare non coincide con il diritto a cancellare i principi
elementari di una democrazia rappresentativa. È stato necessario il
gesto coraggioso di un padre per salvare le speranze di Telemaco, per
ricordare ai nuovi Proci che Ulisse è ancora vivo.