Repubblica 3.5.18
I rapporti di forza
Tutti i big contro Matteo che ora teme il ribaltone
di Tommaso Ciriaco
ROMA
«Stavolta vado fino in fondo», promette Maurizio Martina alla vigilia
della resa dei conti in direzione. Lascia intendere che il Pd si trovi
davvero a un passo dal ribaltone. E che, assieme al “club dei ministri”
guidato da Dario Franceschini, non toglierà il piede dall’acceleratore, a
costo di contarsi. «Non ci fermiamo», giura il ministro dei Beni
culturali. Se non frena nessuno, l’impatto sarà inevitabile. Anche
perché stavolta Renzi ci sarà. E, forse, parlerà.
È mattino quando
la sottosegretaria Boschi decide di spostare gli equilibri interni con
una raffica di telefonate ai parlamentari in bilico. «Ciao, sono Maria
Elena, ti chiedo di sostenere il documento di Guerini. È importante,
dobbiamo mostrare ai nemici di Matteo che non possono pensare di
metterlo da parte con una manovra di palazzo». Non tutti sono membri
della direzione, ma è utile alla causa mostrare che i gruppi di Camera e
Senato sono comunque saldamente in mano renziana. La “sponsorizzazione”
arriva subito all’orecchio dell’ala governista. E tutto precipita.
L’idea
di Lorenzo Guerini, in realtà, era di limare un testo capace di sminare
la conta interna. Volare alto, lasciare al reggente qualche margine per
il nuovo round di consultazioni, cancellare lo scenario di un patto per
la premiership di Di Maio. Ma non basta.
Per Martina, il problema
è a monte. Lo spiega ai renziani che provano a mediare. «Sono stato
delegittimato e adesso chiedo che la direzione mi legittimi per
affrontare una fase così delicata. E certo non mi farò trascinare a
parlare di un patto costituente che allo stato è lunare». Pretende un
voto sulla sua relazione. E alla vigilia lavora a un testo ricco di
dettagli scomodi sugli ultimi mesi del Pd, a partire dalle ragioni della
sconfitta del 4 marzo.
I renziani non vogliono la conta. A metà
pomeriggio scatta l’ordine, diretto contro alcune “pasdaran”: «Abbassate
i toni sui social».
L’obiettivo è evitare che Martina si lanci in
un’avventura ad alto rischio, con il rischio di sfasciare il Nazareno.
Guerini ha in mano 124 firme dei 215 membri della direzione. E promette
che lavorerà fino all’ultimo per la pace, creando le condizioni per far
votare ai renziani - e dunque all’unanimità - la relazione del reggente.
Ma lo scenario alternativo, quello del redde rationem, mette i brividi.
Si
tratta del ribaltone. In realtà a Martina non servirebbe neanche
vincere, ma perdere talmente bene (52% contro il 48%) da dividere il
partito in due fette quasi esatte, mostrando la fine del dominio
assoluto del capo di Rignano. Per mostrarsi determinato, Franceschini
resuscita addirittura la sua corrente, Area dem, dando appuntamento per
stamane ai suoi componenti più fedeli. Ma è l’elenco dei big che voltano
le spalle a Renzi a impressionare, perché si allunga di ora in ora.
Il
colpo più duro l’ha assestato Paolo Gentiloni. Va bene l’unità e pure
il documento - ha confidato alla vigilia - ma è soprattutto «naturale»
che tutti confermino il sostegno a Martina. Insieme al premier si muove
una falange di pezzi da novanta accomunati da un giudizio più che
negativo sulla sortita televisiva con cui Renzi ha ribaltato il tavolo
di dialogo messo in piedi dal Colle. E allora, in ordine sparso, ci sono
renziani, ex renziani o anti renziani come Piero Fassino e Walter
Veltroni, Marco Minniti e Nicola Zingaretti, Sergio Chiamparino e Andrea
Orlando, Michele Emiliano e Gianni Cuperlo, Stefano Bonaccini e
Marianna Madia, sindaci come Beppe Sala e Virginio Merola. Né sono
sfuggiti i distinguo di Debora Serracchiani, segno che la crisi è
approdata nel cuore del renzismo. L’unica certezza, a questo punto, è
che l’eventuale frattura in direzione imporrà il congresso.
«Se
viene meno l’unità - promette Orfini - non posso che convocare
l’assemblea nazionale. Penso il 12 maggio». In quella sede, o più
probabilmente con un’assise autunnale, sarà scelto il nuovo leader. Se
poi le Politiche arrivassero addirittura prima, toccherebbe proprio a
Orfini proporre le liste elettorali alla direzione. E ci sarebbe modo di
valutare la profezia di Renzi: «Sapete chi teme più di tutti il voto?
Franceschini. E lo sapete perché? Perché i candidati li deciderò sempre
io».