Repubblica 23.5.18
Anniversari
Fermi e quel Nobel costruito su un quaderno di scuola
Ecco gli appunti su atomi e neutroni del fisico italiano che nel 1938 ottenne il prestigioso Premio. E abbandonò l’Italia
di Elena Dusi
Sul
piroscafo Franconia per New York, 80 anni fa, non salpò solo un uomo
con le valigie. Partì un professore universitario salito in cattedra a
23 anni, con studenti che arrivavano dall’estero per ascoltarlo. Alla
carenza di risorse dell’Italia quel fisico era in grado di sopperire
costruendosi in casa i propri strumenti. Lavorando anche di notte e
contemporaneamente tenendo lezione, quell’uomo era riuscito a costruire
una squadra d’eccellenza, a vincere il premio Nobel nel 1938 e a far
brillare il nostro paese nel panorama della scienza mondiale.
Con
Enrico Fermi, 80 anni fa, non emigrava solo un genio della fisica. Nella
scia del Franconia si perdevano anche alcuni aspetti di un’Italia che
ci sarebbe piaciuto ritrovare ancora oggi. Fresco di Nobel, nel 1938,
dopo aver omesso di fare il saluto fascista alla cerimonia di Stoccolma e
aver scelto di vestirsi in frac (che presto sarà messo in mostra al
Centro Fermi di Roma), allo scienziato non restava che imbarcarsi da
Southampton con la moglie Laura e i figli.
Con un’ombra di rimpianto e
il ricordo controverso – ma comunque sottoposto a un gran lavoro di
rielaborazione storica – del contributo di Fermi all’atomica, gli 80
anni del Nobel vengono celebrati in questi giorni. « Il gergo usato
ancora oggi dai fisici è pieno di riferimenti alla sua figura», spiega
Luciano Maiani, uno dei più importanti fisici italiani, già presidente
dell’Istituto Nazionale di Fisica nucleare e del Cnr, in una lectio
magistralis all’Università Roma Tre. «I fermioni sono una classe di
particelle, usiamo la statistica di Fermi e il Fermi come unità di
misura. Il Fermilab di Chicago è uno dei più importanti laboratori del
mondo e il FermiSat cerca raggi gamma in orbita nello spazio» sono solo
alcuni degli esempi citati. « Fermi ha sviluppato la fisica in tutte le
direzioni e in tutto il mondo » . Nel 1954 sognava che l’umanità si
unisse per costruire un acceleratore di particelle lungo quanto
l’Equatore: il Globatron. E oggi vediamo quanto la fisica delle alte
energie stia diventando globale. « Ben venga la Cina, in una comunità
già ricca dei contributi europei, statunitensi e giapponesi » , commenta
Maiani, in partenza per un periodo di ricerca a Shanghai.
Ma il
genio che sognava di costruire un acceleratore di particelle grande
quanto la Terra, il suo Nobel lo costruì in una stanzetta dell’Istituto
di via Panisperna, realizzando a mano i propri strumenti e segnando su
un quaderno da scuola le misurazioni effettuate minuto per minuto, notte
inclusa, per arrivare a scoprire che un atomo bombardato da neutroni
diventa radioattivo. Fermi aveva “ dimostrato l’esistenza di nuovi
elementi radioattivi prodotti con l’irradiazione dei neutroni”, come
recita la prima parte della motivazione del Nobel di Stoccolma.
Quel
quaderno, che raccoglie gli esperimenti cruciali del marzo 1934, era
andato perduto. Nella Domus Galileiana di Pisa, dove i documenti di
Fermi sono conservati, c’era un buco proprio in quella primavera
decisiva per le scoperte sul nucleo e la radioattività. L’hanno
ritrovato due professori di fisica e storici della scienza: Nadia
Robotti dell’Università di Genova e Francesco Guerra della Sapienza di
Roma, pubblicandolo l’anno scorso in un libro per Springer con il titolo
The lost notebook of Enrico Fermi. The true story of the discovery of
neutron- induced radioactivity. Il quaderno era finito chissà come tra
le carte di Oscar D’Agostino, l’esperto di chimica del gruppo di via
Panisperna. Dopo la sua morte l’archivio era stato trasferito nella
biblioteca dell’Istituto Tecnico per Geometri di Avellino, città natale
di D’Agostino. Lì, per un caso fortunato, Robotti e Guerra sono andati a
curiosare, riconoscendo la calligrafia di Fermi. Uno scarabocchio rosso
a sottolineare la misura della radioattività dell’alluminio: il passo
fondamentale sulla strada di Stoccolma. Lo schema per costruire in casa
l’amplificatore per il contatore Geiger, negli anni in cui gli Stati
Uniti si dotavano già dei primi acceleratori di particelle. E le
misurazioni, prese con tenacia anche di notte e all’ora di pranzo ( rito
irrinunciabile per Fermi), perché la fonte di neutroni (un tubicino di
vetro riempito di radon e berillio) era preziosa. Perdeva la sua
efficacia in poche ore e per sostituirla bisognava chiedere un favore
personale a un amico dell’Istituto di Sanità Pubblica, che custodiva il
prezioso radio ( un milione di lire dell’epoca per ogni grammo)
destinato alla cura del cancro. Per questo, hanno ragione Robotti e
Guerra a chiamare quello di Fermi “ un Nobel tutto italiano”.