Il Fatto 23.5.18
Segre e i suoi cento anni di Resistenza al fascismo
di Massimo Novelli
Un
secolo di vita, ma soprattutto un secolo di resistenza ai fascismi
vecchi e nuovi, all’oscurantismo clericale e civile, ai pregiudizi di
razza e di censo, alla violenza del potere. L’avvocato torinese Bruno
Segre compirà cento anni tra qualche mese. Partigiano di Giustizia e
libertà, uomo di legge e giornalista (dal 1949 dirige il periodico
libertario L’Incontro), scrittore e politico (è stato capogruppo
socialista, negli anni Settanta, al consiglio comunale di Torino), Segre
festeggerà il suo centenario davvero formidabile il 4 settembre. Cento
anni, dunque, trascorsi da alfiere indomito della libertà, della pace,
della laicità e dei diritti civili, dall’obiezione di coscienza al
divorzio. Molti sanno, o se non altro dovrebbero sapere, che l’avvocato
Segre difese nell’agosto del 1949 il primo obiettore di coscienza
italiano, Pietro Pinna, davanti a un Tribunale militare. Così come sono
conosciute le sue battaglie per il divorzio. Assai meno noto è che, tra
l’estate e l’inverno del 1938, l’allora giovanissimo Segre fu il solo
nel nostro Paese, assieme all’ex deputato socialista Giulio Casalini, a
osteggiare apertamente le leggi razziali fasciste volute da Mussolini, e
varate il 17 novembre, in una serie di articoli apparsi su una rivista
regolarmente pubblicata in Italia. Si chiamava L’igiene e la vita,
usciva a Torino, e l’aveva fondata il citato Casalini, un medico di
Vigevano. In quei mesi del 1938, come Renzo De Felice ha messo in luce
nella Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, la stragrande
maggioranza degli italiani rimase indifferente alle leggi razziali.
Tacquero quasi tutti gli stessi ebrei italiani; soltanto uno di loro,
l’editore Angelo Fortunato Formiggini, espresse tragicamente la sua
protesta contro “l’assurda malvagità dei provvedimenti razzisti”
suicidandosi a Modena (si buttò dalla Ghirlandina) nel novembre del
1938. E furono silenti o complici del regime gli intellettuali, salvo
Benedetto Croce, che espresse il suo “ribrezzo” per l’antisemitsmo
nazifascista in una lettera ripresa dal Palestine Post. Pochi altri, da
Massimo Bontempelli a Filippo Tommaso Marinetti, ad alcuni cattolici,
non nascosero l’avversione alla vergognosa legislazione avallata da Casa
Savoia e dal re Vittorio Emanuele III. Ma un conto era il dissenso per
lettera, un altro manifestarlo sulle colonne di un giornale non
clandestino. Segre e Casalini, invece, rischiando il carcere o il
confino, ebbero il coraggio di scrivere pubblicamente. Su L’igiene e la
vita misero in discussione il preteso fondamento storico e scientifico
delle leggi, ossia l’esistenza di una presunta razza pura italiana, di
origine ariana, come sostenevano gli accademici autori del Manifesto
sulla Razza, pubblicato il 14 luglio del 1938 su Il Giornale d’Italia e
in altri quotidiani. Furono soprattutto gli interventi di Segre a
mettere in rilievo che le affermazioni contenute nel manifesto
“esprimono un punto di vista estremamente soggettivo. Si tratta di
affermazioni dogmatiche la cui enunciazione scientificamente lascia
molto a desiderare, e che prospettano una situazione diversa assai nei
suoi sviluppi storici”. Firmati con lo pseudonimo di Sicor, gli articoli
di Segre, all’epoca studente universitario, e di Casalini, che
parteggiavano inoltre per la pace (“il fine dei popoli non può essere la
guerra”, scrisse l’ex deputato del Psi), non passarono naturalmente
inosservati. Come ricorda l’avvocato, “il giornale di Casalini venne
sequestrato e soppresso per avere manifestato opinioni antirazziste”.
Certo è che, ha detto più volte Segre, “ancora oggi mi colpisce il fatto
che a levarsi contro le leggi razziali non furono gli intellettuali, i
giuristi, gli scienziati, i professori universitari, ma un vecchio
socialista, che purtroppo nel dopoguerra venne coinvolto in un grave
scandalo edilizio, e uno studente quale ero io, uno che aveva appreso
dalle lezioni ascoltate all’Ateneo torinese come l’Italia fosse stata un
crogiolo di popoli, una molteplicità di genti, altro che purezza di una
‘razza’ sola!”. La scure della censura fascista non tardò a calare sul
giornale. Dai documenti conservati all’Archivio di Stato di Torino, si
può apprendere che già il 7 ottobre Dino Alfieri, ministro della Cultura
Popolare, inviava ai prefetti un telegramma in cui si invitava a
“disporre sequestro rivista L’igiene e la vita diretta da Giulio
Casalini numero 9 del di settembre ultimo scorso per atteggiamento
antirazzista”. Il 9 di novembre, il prefetto di Torino rispondeva:
“Disposto sequestro n. 10-11 del periodico L’igiene e la vita
ottobre-novembre diretto da Giulio Casalini stampato Tipografia Mittone
per trattazione problema razzista non conformemente direttivo Governo
Nazionale”. Francesco Mittone, nonno del noto avvocato Alberto Mittone,
era stato lo stampatore de Il Grido del Popolo di Antonio Gramsci e di
alcune opere di Piero Gobetti; la sua tipografia venne più volte
perquisita dai poliziotti e dai fascisti. Per il giornale di Casalini e
Segre, pertanto, i giorni erano contati. “Tenuto conto”, affermava il
prefetto di Torino, “che la rivista mensile L’igiene e la vita diretta
da Giulio Casalini e stampa (sic) dalla tipografia Mittone – corso
Principe Oddone 34, Torino – tiene atteggiamento antirazzista; che per
tale motivo si sono dovuti adottare provvedimenti di sequestro; viste le
leggi sulla stampa periodica, testo unico della legge comunale e
provinciale e quella della legge di Pubblica sicurezza”, il 3 febbraio
del 1939 decretava “la soppressione del periodico mensile L’igiene e la
vita“. Il Questore di Torino fu “incaricato dell’esecuzione del presente
decreto che dovrà essere notificato al direttore responsabile del
periodico”. La rivista cessò le pubblicazioni. E a lungo sarebbe calato
il sipario anche sul coraggio del giovane Bruno Segre e del medico
socialista Giulio Casalini, due italiani da onorare e da ricordare nei
libri di Storia.