Corriere 23.5.18
Nazismo Lo storico Peter Longerich ricostruisce la conferenza del 1942 che portò ad Auschwitz (Einaudi)
Wannsee, l’orrore nell’idillio
In un luogo dal paesaggio incantevole fu pianificato il genocidio degli ebrei
di Corrado Stajano
«La
burocrazia della morte», viene in mente leggendo le pagine di questo
libro. L’ha scritto Peter Longerich, professore tedesco che insegna
Storia della Germania moderna all’Università di Londra, un’autorità
negli studi sul Terzo Reich. Si intitola Verso la soluzione finale. La
conferenza di Wannsee, pubblicato da Einaudi.
La conferenza di cui
racconta il saggio si tenne il 20 gennaio 1942 in una lussuosa villa
sulle sponde del lago Wannsee che diede il suo nome, appunto, a quella
tragica riunione, tema l’annientamento di undici milioni di ebrei in
Europa, di cui discussero allora alti e meno alti gerarchi nazisti.
Quindici
di loro, nel freddo inverno di guerra, si riunirono in quella villa
costruita negli anni Settanta dell’Ottocento, nel quartiere esclusivo
alla periferia di Berlino, non lontano da Potsdam, dove vivevano ricchi
banchieri, imprenditori, editori, uomini di rango e di successo, e anche
personaggi milionari che, arricchiti con i loro sporchi traffici,
ebbero a che fare con la giustizia e con la prigione.
Nel 1940 la
villa fu acquistata dalla Nordhav-Stiftung, la fondazione creata da
Reinhard Heydrich, l’Obergruppenführer, generale delle SS, capo della
polizia di sicurezza, allo scopo di «predisporre e finanziare case di
vacanze» per gli uomini del corpo e per le loro famiglie.
Il
grande fascino della villa, in mezzo a prati fioriti e a boschi fatati
da libri di lettura per ragazzi, contrasta con la ferocia di quel che,
tra sale e salotti, si decise tra i suoi muri. La bellezza e l’orrore.
Con imbarazzante normalità, là dentro si discusse della Shoah, delle
modalità dell’uccidere, delle camere a gas, dello Zyklon B,
probabilmente usato per la prima volta all’inizio del settembre 1941 per
eliminare 600 prigionieri di guerra sovietici, classificati come
«fanatici comunisti» e altri 900 poco dopo.
La riunione di Wannsee
sembra la riunione di un gruppo aziendale i cui dirigenti discettano
dei problemi della grande distribuzione della loro merce. Il genocidio
viene analizzato dagli uomini di Adolf Hitler come una moltiplicazione
di numeri, non di esseri umani, ma di montagne di spazzatura repellente
da collocare in luoghi chiamati lager, da sfoltire, eliminare.
Il
concetto di soluzione finale non nacque propriamente allora. Il 30
gennaio 1939 davanti al Reichstag, Hitler aveva dichiarato in un
discorso che «se il giudaismo internazionale della finanza entro e fuori
i confini europei fosse riuscito a catapultare i popoli in una guerra
mondiale, il conflitto avrebbe avuto come esito lo sterminio della razza
ebraica in Europa».
Centinaia di migliaia di ebrei, ai tempi
della conferenza, erano già stati sistematicamente uccisi in Unione
Sovietica — l’invasione dell’Urss era iniziata il 22 giugno 1941 — in
Serbia e in Polonia, dove era stato inaugurato il primo campo di
sterminio. A Lublino era in costruzione, dal novembre 1941, un altro
campo di sterminio permanente. Fucilazioni di massa avevano dunque già
avuto luogo prima della conferenza di Wannsee: che significato doveva
avere quella riunione, ora che gli Stati Uniti nel dicembre del 1941
erano entrati in guerra ed era venuta meno ogni possibile minaccia agli
americani che diventarono la fucina di armi e di uomini per l’Europa?
Probabilmente
con quella conferenza si tentò di coordinare le diverse azioni
scombinate già in corso approvando un piano globale di pianificazione da
portare a termine durante la guerra: la soluzione finale della follia
antiebraica.
Protagonista della conferenza è il verbale, diventato
famoso, redatto da Adolf Eichmann e autorizzato da Heydrich. Delle
trenta copie stampate ne è rimasta soltanto una, la sedicesima, scoperta
dagli Alleati nel 1947 e conservata ora a Berlino nell’Archivio
politico del ministero degli Esteri.
In un’ora, un’ora e mezzo, si
decise di deportare undici milioni di ebrei dell’Europa e di
sterminarli. «La soluzione finale della questione ebraica europea»,
scrive Peter Longerich, «non doveva svolgersi più nei territori
sovietici occupati: il baricentro fu spostato nella Polonia posta sotto
il dominio nazista». (Non più, quindi, come si era pensato in un primo
tempo, il problema della soluzione finale andava risolto deportando gli
ebrei nell’Unione Sovietica conquistata per sterminarli a guerra finita,
ma attuando subito il programma del massacro).
Chi furono i
quindici, selezionati dal regime nazista, protagonisti della conferenza?
I rappresentanti degli organi statali, i delegati delle autorità civili
di occupazione, i funzionari delle SS, Gauleiter, segretari di Stato,
ufficiali della polizia e delle SS. Il capo e il più noto era certamente
Reinhard Heydrich; Eichmann era soltanto un Obersturmbannführer, un
tenente colonnello delle SS; Rudolf Lange, detto il boia, un maggiore
delle SS, era il comandante della polizia di sicurezza per la Lettonia.
Nelle
sue quindici pagine il prezioso verbale affronta con minuzia
ragionieresca ogni questione. Anche quella degli ebrei italiani — 58
mila — senza porsi il problema che l’Italia era allora alleata della
Germania.
Heydrich, l’artefice della conferenza, aveva cinque mesi
di vita. Il 29 maggio 1942 due partigiani del libero esercito
cecoslovacco lo colpirono a morte a Praga dove risiedeva mentre con la
sua Mercedes si stava recando al Castello.
Le cose andarono
diversamente da come le avevano previste e decise i gerarchi nazisti
nella bella villa sul lago di Wannsee. I russi, a Stalingrado, si
svenarono e respinsero gli aggressori nazisti mentre gli Alleati, da
Ovest e da Sud, strinsero la Germania in una morsa di fuoco e di
libertà.
Di quei milioni di morti innocenti che gli uomini di Hitler riuscirono a uccidere resta soltanto la memoria indimenticata.